Milani e Papa Francesco - parrocchia stagno lombardo

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DON LORENZO MILANI
E
PAPA FRANCESCO
SOMMARIO

1) "Ratzinger riabiliti Don Milani". Appello degli ex allievi di Barbiana (2007)

2) Papa Francesco, l’ennesima svolta: don Milani da prete in odore di eresia a testimone evangelico della Chiesa

3) L'impaziente pazienza di don Lorenzo e don Primo. Papa Francesco a Bozzolo e a Barbiana.

4) Papa Francesco: «Pregate perché io prenda esempio da don Milani»

5) E' morto Michele Gesualdi, il "primo" ragazzo di don Milani

6) Il Papa sulla tomba di don Milani: "Servo esemplare del Vangelo, lo dico da Papa"
LA REPUBBLICA (8 giugno 2007)
ORAZIO LA ROCCA

A quarant'anni dalla morte del priore vige ancora la condanna della Chiesa contro le "Esperienze pastorali"
Il 26 giugno sarà commemorato dal cardinale di Firenze Ennio Antonelli quasi un risarcimento post mortem

"Ratzinger riabiliti Don Milani"
Appello degli ex allievi di Barbiana

Una Fondazione cura la salvaguardia della vecchia sede della scuola


BARBIANA - Un appello al Papa affinché cancelli la condanna del 1958 contro "Esperienze pastorali", il testo-base della missione sacerdotale di don Lorenzo Milani, priore di Barbiana (Firenze), scomparso il 26 giugno 1967, a 44 anni, dopo una lunga malattia. Lo lanciano, per il quarantesimo anniversario della morte del priore, i suoi ex allievi aderenti alla Fondazione "Don Lorenzo Milani".
E per la ricorrenza pubblicano anche una sua lettera inedita scritta nel 1957 a uno dei suoi studenti. Quel giovane era Alberto, un ragazzo che ancora "non era riuscito ad apprendere l'arte della parola" anche a causa della sua povertà, e per questo don Milani gli confessa tutto il suo "dispiacere". E' un testo breve, molto intimo e problematico, nel quale il sacerdote scrive, tra l'altro: "Alberto, rispondi, sono 4 anni che ti frugo negli occhi, che guardo le tue labbra per vedere se si muovono, se buttano fuori qualche cosa della tua anima tormentata...". E si rammarica perché quel ragazzo ancora non ha avuto la "fortuna, la grazia, il privilegio" di "padroneggiare la parola".
A 40 anni dalla morte, torna, dunque, alla ribalta don Milani. Prete scomodo per antonomasia, punito dall'allora Sant'Uffizio per le sue idee pastorali, inventore della scuola per gli ultimi, anticipatore, per alcuni versi, del '68, il priore sarà commemorato il 26 giugno prossimo a Barbiana dal cardinale di Firenze Ennio Antonelli. Quasi un risarcimento post-mortem, perché il porporato - oltre a celebrare una Messa - parteciperà a un convegno dedicato ai libri di don Milani, tra i quali - molto atteso - "Esperienze pastorali", il testo che l'ex Sant'Uffizio giudicò "inopportuno", facendolo ritirare dal commercio.
"Dopo 40 anni, quella condanna suona come un evidente controsenso, va cancellata", lamenta Michele Gesualdi, uno dei primi 6 allievi di Barbiana, sindacalista Cisl, per 2 legislature presidente della Provincia di Firenze, ed ora presidente della Fondazione "Don Lorenzo Milani". "Sarebbe bello - confessa - che dal Vaticano, magari dal Papa o dal prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, venisse una parola definitiva per cancellare quella ingiustizia, anche perché è risaputo che don Milani non ha mai detto niente, nemmeno una sola parola, in contrasto con gli insegnamenti ecclesiali.
Il priore era un sacerdote attaccatissimo alla Chiesa e alla sua missione primaria, cioè il riscatto dei poveri attraverso l'insegnamento, la cultura, la parola viva". Nel 1992 la Cisl, ricorda Gesualdi, "lanciò un analogo appello, firmato anche dall'allora segretario Franco Marini, ora presidente del Senato. Ma il Vaticano disse che il problema era superato perché l'ex Sant'Uffizio non c'era più. E invece è ora che la Chiesa dica una parola di chiarezza su quella condanna per un atto di giustizia verso il priore".
La Fondazione presieduta da Gesualdi è nata nel 2004 per rilanciare l'insegnamento del priore e salvare la scuola da un inevitabile degrado. Oggi la struttura - 2 aule austere, un laboratorio con le strutture didattiche usate dal priore e i suoi allievi - "è meta costante di visite da parte di scolaresche e studiosi che intendono conoscere e approfondire il percorso didattico", racconta Giancarlo Carotti, ex allievo del priore al quale la Fondazione ha affidato il compito di accogliere e guidare i visitatori.
"Ma non sarà mai un museo", giura Gesualdi, che intende esportare "il modello Barbiana in quelle aree, periferie metropolitane, paesi poveri, dove oggi c'è tanto bisogno degli insegnamenti di don Milani". La prima meta sarà l'Albania, dove il 12 e il 13 giugno si terrà un convegno dedicato al priore in vista dell'apertura di una scuola per ragazzi poveri.
FATTO QUOTIDIANO - 20 Giugno 2017
di Carlo Giorni

Papa Francesco, l’ennesima svolta:
don Milani da prete in odore di eresia a testimone evangelico della Chiesa

Il pontefice pregherà sulla tomba del prete di Barbiana: una vista imprevista e coraggiosa che riabilita
un sacerdote che negli anni Sessanta fu minacciato di sospensione a divinis


Barbiana, a 475 metri di altezza, a metà del monte Giovi, esposta ai venti gelidi dell’Appenino, si trova nel Comune di Vicchio, paese natale di Giotto e del Beato Angelico. Ci si può arrivare, transitando per l’A1, dal casello di Barberino del Mugello, da qui si imbocca la strada per Borgo San Lorenzo. Da Firenze, che dista da Barbiana una quarantina di chilometri, le strade sono diverse: da Pontassieve, da Fiesole o passando dalla Bolognese. Quando vi fu esiliato don Lorenzo Milani, il 7 dicembre 1954, non c’era la strada. Racconta Maresco Ballini, un allievo di San Donato di Calenzano, dove don Lorenzo fu inviato come cappellano nel 1947, che quel giorno pioveva a dirotto e il camion che trasportava gli oggetti, i vestiti, i libri del cappellano e di Giulia e Eda Pelagatti, le due donne che vivevano con lui, si fermò a circa mezzo chilometro dalla chiesa e dalla canonica. Barbiana era una parrocchia di montagna con pochi montanari, sprovvista di luce, acqua, scuola e ufficio postale. Lo Stato si faceva vivo solo per inviare la cartolina precetto per il militare o l’invio in guerra.
Papa Francesco arriverà in elicottero, proveniente da Bozzolo, il piccolo borgo di 5mila anime dove visse don Primo Mazzolari, e troverà una Barbiana diversa: oggi c’è la strada, la luce, l’acqua. Ma potrà assaporare lo stesso, nell’austerità e sobrietà del luogo, quel senso di distanza e di esilio che Barbiana conserva anche oggi. Lungo una stradina che porta al bosco potrà vedere i cartelli con i primi 54 articoli della Costituzione, il vangelo laico di don Milani. E sicuramente farà visita alla piccola stanza, in canonica, dove il priore faceva scuola ai ragazzi. Qui campeggia la famosa scritta I care, mi interessa, che nel 2000 Walter Veltroni, allora segretario dei Ds, mutuò per il congresso del Lingotto. Poi il Papa si recherà nel piccolo camposanto a pregare sulla tomba del priore, morto il 26 giugno 1967. Con questa visita imprevista e coraggiosa, papa Francesco riabilita don Milani e fa di Barbiana e dell’esperienza del priore uno dei centri spirituali di riferimento del suo pontificato.
Per la Chiesa è una svolta storica. Il prete esiliato, in odore di eresia, che il cardinale di Firenze Ermenegildo Florit minacciò di sospensione a divinis, viene assurto a testimone evangelico della Chiesa di Papa Francesco.
Accanto ad un significato religioso ed ecclesiale, la visita di Bergoglio a Barbiana assume anche una valenza civile e politica. Nel fuoco delle polemiche tra la Cei, la conferenza dei vescovi italiani, e la Lega Nord sui migranti, non può passare sotto silenzio l’I care milaniano come finestra aperta al mondo e alla solidarietà. E sicuramente risuoneranno le parole scritte da don Milani, nel febbraio del 1965, ai cappellani militari della Toscana: “Non discuterò qui l’idea di Patria in sé. Non mi piacciono queste divisioni. Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri”.
L’altro grande tema civile è quello della scuola. La prima volta che Papa Francesco ha parlato di don Milani è stato il 10 maggio 2014, in piazza San Pietro, in un discorso al mondo scolastico. Sottolineando che il segreto della scuola è “imparare ad imparare” per educare i giovani ad essere aperti alla realtà, Papa Bergoglio aggiunse: “Questo lo insegnava anche un grande educatore italiano, che era un prete: don Lorenzo Milani”.
E’ singolare che del priore di Barbiana il Papa sottolinei, prima ancora del suo essere prete, il ruolo civile dell’educatore. Proprio cinquant’anni fa, ad un mese dalla morte, uscì Lettera a una professoressa, testo cult della scuola di Barbiana, best seller venduto in milioni di copie, che ha processato il classismo del sistema scolastico italiano. E anticipato per certi versi la contestazione scolastica del ‘68.
E la scuola di don Milani continua a far discutere. Tra chi la critica e imputa a Lettera a una professoressa tutti i guai della scuola italiana e chi invece la ritiene ancora un riferimento pedagogico importante. Come ad esempio lo storico dell’arte fiorentino Tomaso Montanari, che il 17 giugno scorso, alla festa nazionale della Fiom, tenutasi in riva all’Arno, ha contrapposto, in un teso confronto con la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli, la scuola di don Milani alla Buona scuola del governo. La scuola dell’I care contrapposta alla Buona scuola in cui, ha polemizzato Montanari, “cultura umanistica, creatività e Made in Italy sarebbero sinonimi: per conoscere il patrimonio culturale, la Ferrari e il parmigiano (tutto sullo stesso piano) bisogna essere creativi”.
Chissà cosa ne penserà Papa Francesco. Di sicuro la Buona scuola vista da qui, da Barbiana, appare lontana.

VATICAN INSIDER - 18/06/2017
fulvio de giorgi (*)

 
L'impaziente pazienza di don Lorenzo e don Primo.
Papa Francesco a Bozzolo e a Barbiana (**)


L’annunciata visita di Papa Francesco a Bozzolo e a Barbiana, sulle tracce dei due preti italiani don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani, rappresenta un avvenimento di grande portata. Del secondo, nel videomessaggio del 19 aprile scorso, rivendicandone implicitamente l’identità esemplare di prete cattolico (anche a fronte di strani tentativi di esaltarlo contrapponendolo alla Chiesa), il Papa ha detto: «La sua era un’inquietudine spirituale, alimentata dall’amore per cristo, per il Vangelo, per la chiesa, per la società e per la scuola che sognava sempre più come “un ospedale da campo” per soccorrere i feriti, per recuperare gli emarginati e gli scartati».
Sappiamo quanto la visione della Chiesa come «ospedale da campo» stia a cuore a Papa Bergoglio e, certo, un’evidente sintonia può essere ed è stata notata tra la sua visione spirituale, pedagogica e pastorale e quella dei due preti italiani. che tra Mazzolari, più anziano, e don Milani ci fosse poi, pur nella diversità culturale e psicologica, una profonda, sostanziale vicinanza è osservazione già fatta da molti e che si fonda sulla mutua conoscenza e sull’affettuosa stima, alla base dei loro reciproci rapporti.  
Ma la visita del Papa, insieme, a Bozzolo e a Barbiana, in due periferie antiche (di campagna e di montagna) della provincia italiana, assume evidentemente un carattere forte e quasi programmatico: è la sanzione di una linea spirituale e pastorale italiana (che si può far risalire a Rosmini, a Manzoni, a Tommaseo e che giunge a Roncalli e a Montini), minoritaria ma sempre salda nella fede e radicata nella carità, ed è, pure, un’indicazione precisa e vivida, non incerta e non sbiadita, per i vescovi italiani.  
Dalla sua fondazione, la rivista “Humanitas” si è sempre sentita parte di tale tradizione. Uno dei suoi fondatori, padre Giulio Bevilacqua, nel 1959, alla morte di Mazzolari, ne scrisse, proprio su queste pagine, un commosso ricordo, in cui, richiamando con serenità le differenze tra le proprie posizioni e quelle del parroco di Bozzolo, affermava con caldo affetto: «Tu fosti sempre camminatore e conversatore con i margini della realtà umana dove più densa è la folla dei crocifissi nell’anima, dei crocifissi della carne, dei crocifissi dall’odio e da mammona. Fu sempre là il tuo posto d’osservazione, la tua trincea di sbalzo: nel rischio, nella libertà che non è mai dono degli uomini ma dura conquista per Cristo, nella terra di nessuno dove l’arma nemica che spara nel cuore fa meno agonizzare dell’arma del fratello che spara nella schiena. [...] E non era culto in ispirito e verità quel tuo ininterrotto colloquio con gli uomini vivi del nostro tempo e per il quale cercavi di renderli veramente contem- poranei a cristo? [...] In fondo solo la verità e l’amore possono erigersi efficacemente contro l’in- giustizia; non la sola verità, non il solo amore; ora per la verità e per l’amore è stata la totalità della tua vita, soprattutto per le verità che il mondo non sopporta, per l’amore che, nella realtà quotidiana, ci spaventa come troppo irraggiungibile eroismo».  
Che dire allora di quelle sfocate e uggiose polemiche che mirano, ancor oggi, a contrapporre verità e carità, e continuano, ancor oggi, a sparare nella schiena del fratello (sia esso perfino il Papa)? Non dice forse Papa Francesco, parlando delle difficoltà di don Milani, «la storia si ripete sempre»? Ricordando la famosa definizione che Papa Giovanni diede di Mazzolari, «tromba dello Spirito Santo nella Valle Padana», ci metteremo in ascolto degli squilli dello Spirito, per farli risuonare nel nostro cuore, e lasceremo da parte quelle presunte verità-senza-carità che sono bronzo che rimbomba o cimbalo che strepita.  
Ma l’urgenza dell’amore per la chiesa, che non accetta facili contentature, che vuole che la Chiesa-ospedale curi pure le proprie piaghe, non può dimenticare quegli aspetti più scomodi dell’eredità ideale di Mazzolari e di Milani. A proposito del secondo (ma ciò vale anche per don Primo), Bergoglio parla infatti della propensione «a una dialettica intellettuale e a una schiettezza che talvolta potevano sembrare troppo ruvide, quando non segnate dalla ribellione». Non è soltanto evangelica parresìa: è pure quel rosminiano «spirito d’intelligenza» (inteso proprio come dono dello Spirito Santo), che non va mai dismesso o rattrappito e che porta a un senso critico, amoroso e pedagogico, sempre obbedientissimo in cristo, ma mai pavido, opportunistico, compiacente.  
Cinquant’anni fa, poco dopo la morte di don Milani, un laico che gli era stato amico, Gian Paolo Meucci, rispondendo a un’inchiesta di questa rivista sul laicato italiano (n. 8-9 del 1967), osservava a proposito della situazione ecclesiale in italia (implicitamente alludendo alla diocesi fiorentina, ma certo non solo a quella): «la Chiesa locale in tutte le sue manifestazioni è una specie di feudo, nella quasi generalità dei casi, in cui al centralismo di un potere monistico si affiancano gruppi di subalterni che per non avere radici locali e per essere espressione di organizzazioni centralizzate, più facilmente perdono ogni senso di autonomia ed assumono quel servizio subalterno al quale la Gerarchia sembra così affezionata. Una tale situazione ha finito per rendere povera e sclerotica la presenza delle organizzazioni laicali, molto forti sulla carta, quasi inesistenti di fatto, veri “apparati” senza vitalità; greggi e non comunità di uomini responsabili».  
Portando l’attenzione della Chiesa italiana su due preti contemporanei, Papa Francesco non vuole, certo, proporre, in modo raffinato, un clericalismo dal volto umano. Vuole, al contrario, indicare la possibilità di un clero non clericale, e di un laicato non clericale: di un clero che viene educato, fin dalla sua formazione seminariale, a non essere clericale e di un laicato che viene anch’esso educato, dai suoi pastori, a non essere clericale. Mazzolari e Milani erano parroci: Mazzolari, su «adesso», si impegnò per una parrocchia-comunità. e questo Milani poté vedere nel progetto che lo Spirito Santo suscitò nel Concilio Vaticano II.  
La visita di Papa Francesco a Bozzolo e a Barbiana indica allora alla Chiesa italiana, a partire dai suoi pastori e dai loro organismi collegiali, un’agenda che non può più essere elusa. Quella che Mazzolari chiamava la «rivoluzione cristiana», e che è semplicemente il Vangelo preso sul serio, reclama una Chiesa in uscita missionaria. Ma questa non si potrà mai realizzare senza una valorizzazione vera del «sacerdozio comune» di tutti i battezzati e le battezzate e, neppure, senza una vera ricerca della santità da parte di tutti i «ministri» nella Chiesa di Dio. Come non ci può essere antitesi tra verità e carità, così non ci deve essere antitesi, nel Popolo di Dio, tra santità e articolazione ministeriale.  
Nella già ricordata inchiesta che “Humanitas” mise in campo esattamente cinquant’anni fa, nel 1967, a Concilio concluso, alcune risposte mostrano ancor oggi un’intatta cogenza (mentre altre appaiono più evidentemente marcate dal clima storico del tempo). Così Carlo Bellò suggeriva «di stabilire fra Vescovo e clero, clero e laici, Vescovo e laici un dialogo pastorale che riconosca a ciascuno il posto proprio di autorità e di competenza e che non faccia dell’obbedienza una virtù passiva, ma integrata da confidenza, da giusta libertà di opinione e da coscienza di collaborazione per l’avvento del regno di Dio». E Giulio Cittadini aggiungeva: «Ai laici chiediamo che abbiano fede, si lascino investire dallo spirito che discende lungo le strutture della chiesa (non individualisticamente) e che rispondano con le loro energie consapevoli che sono energie costitutive della chiesa».  
Ma era soprattutto il rosminiano (e montiniano) Clemente Riva che aveva parole di una suggestiva attualità (proprio perché misurate sul passo ampio della storia della spiritualità, non su quello breve o brevissimo della cronaca e delle mode). Parlando di debolezza del laicato, dopo aver indicato alcuni limiti storici, affermava: «Ma probabilmente il motivo di fondo di questa situazione di debolezza è dato dalla mancata presa di coscienza relativa all’essere, ai poteri e ai doveri di tutti i fedeli sia laici che ecclesiastici. [...] Tutti nella Chiesa sono fondamentalmente fedeli, anche il clero, anche i Vescovi, anche il Papa; così come tutti sono fondamentalmente fratelli. Fedeli di cristo, fratelli in cristo. [...] L’uguaglianza fondamentale di tutti i fedeli attutisce (se non addirittura elimina) l’attribuzione esclusiva di molti campi d’azione e di molte caratteristiche ai laici da una parte, al clero dall’altra. Probabilmente sarebbe più utile, a chiarire molte considerazioni, se si avesse il coraggio di non usare più termini laico e clero in contrapposizione e in differenziazione. Tutti sono fedeli; alcuni poi ricevono l’ordinazione ad esercitare alcuni specifici ministeri, ma mantenendo tutto ciò che hanno tutti i fedeli. allora per costituzione il clero non è escluso da impegni e attività temporali; così come i laici non sono esclusi da impegni e attività religio- se. infatti per il motivo che un fedele è sacerdote non è escluso costitutivamente da impegni temporali come la politica, e neppure dagli impegni coniugali e fami- liari. saranno ragioni contingenti e storiche, di luoghi, di tempi, di circostanze, a dettare una legislazione ecclesiastica e canonica sull’assumere o meno attività di ordine secolare o temporale diverso. e tali ragioni possono avere un altissimo significato e valore ascetico e apostolico, ma non costituiscono un’impossibilità costitutiva e ontologica, tale che contraddica all’essere sacerdotale. allo stesso modo ai semplici fedeli sono riconosciuti e conferiti, dal loro essere cristiani bat- tezzati, poteri religiosi anche di tipo sacramentale, e non semplicemente di tipo religioso in senso vago e generico».  
A me pare, per esempio, non solo possibile, ma anche opportuno e auspicabile, che – nella situazione storica di oggi, molto mutata rispetto al passato – i vescovi italiani chiedano al Papa la possibilità dell’ordinazione al sacerdozio ministeriale per viri probati anche se coniugati. Clemente Riva continuava poi: «Finora non si sono che accennati confusamente e incompletamente i poteri dei laici. Mentre un’indagine profonda, che portasse all’individuazione più completa di poteri, rappresenterebbe un contributo grandissimo alla presenza e all’azione del laicato nella Chiesa e fuori. e l’individuazione significherebbe affermazione, esigerebbe riconoscimento, impegnerebbe in un promuovimento di tali diritti e del loro esercizio. I Documenti conciliari accennano ad alcuni di questi poteri. [...] Ma si può approfondire ancora di più questi poteri ed altri ancora che a questi sono collegati. seguendo un’ispirazione rosminiana vorrei indicarne alcuni [...]. Ogni cristiano ha un potere di predicare e di insegnare il Vangelo, ossia partecipa al ministero della parola, anzi in alcuni casi è tenuto a farlo. Inoltre, scrive Rosmini, i semplici fedeli “hanno diritto di influire nel governo della Chiesa in una certa misura e modo determinato, e acconsentito e ricono- sciuto dai pastori stessi della Chiesa”. E ciò rispettivamente alle persone ecclesiastiche, la cui elezione deve avere il consenso di tutto il popolo cristiano ad esse affidato. il diritto di elezione del proprio pastore è inalienabile, pur essendo le modalità di tale diritto competenza della santa Chiesa. [...] Così pure vi sono dei diritti di tutti i fedeli rispetto ai beni della Chiesa, poiché tali beni si posseggono, si amministrano e si dispensano in comune, essendo appunto beni della ecclesia per i poveri e per l’esercizio del culto».  
Ecco due altri grandi temi di riforma cattolica, per una Chiesa in uscita missionaria, che i vescovi italiani possono mettere in agenda: la partecipazione del laicato, cioè meglio di tutto il Popolo di Dio, all’elezione dei pastori; l’approntamento di forme istituzionali (come le vecchie fabbricerie) per una vera gestione comunitaria, cooperativa, starei per dire “con-dominiale” (oltre le striminzite e ristrette forme dei consigli per gli affari economici: non soddisfacenti perfino nel nome) dei beni ecclesiali parrocchiali.  
Il buon grano che è stato raccolto nel tempo dalle tante esperienze di radicalità evangelica – delle quali Mazzolari e Milani sono, per così dire, icona rappresentativa – va copiosamente seminato, non tenuto in granai museali. il seme, diceva Clemente Riva, «deve essere fatto germogliare, sviluppare, crescere in tutti i suoi aspetti, in tutta la sua carica trasformatrice». Ma soprattutto il “seme di Mazzolari e di Milani” va seminato con larghezza. Questo non è di per sé garanzia di grande raccolto (il seme può cadere sulla strada, tra i sassi, tra le spine e non dare frutto): ma il raccolto sarà sicuramente poco se si è seminato poco.  
Come diceva, sempre in quell’inchiesta di “Humanitas” del 1967, Paolo De Benedetti: «Ma il seme sarà stato gettato davvero in tutti i solchi? Se la lentezza della germinazione è un prodigio, la lentezza del seminatore è una rovina: e nella chiesa c’è una inveterata abitudine a definire “prudenza” ogni forma di lentezza. Se dunque la pazienza non si congiunge costantemente alla impazienza, i risultati del concilio rischiano di nascere poveri e pochi. La responsabilità di tutti, in questo momento, è di saper essere pazienti e impazienti al punto giusto».  
E alla fine questa paziente impazienza o impaziente pazienza è l’eredità più importante, oggi, di don Primo e di don Lorenzo, preti della Chiesa di Cristo.     
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* Ordinario di Storia dell'Educazione presso l'Università di Modena e Reggio
** Anticipiamo il contributo che esce domani, 19 giugno, sulla rivista “Humanitas” edita dalla Morcelliana in occasione della visita del Pontefice sulle tombe dei due sacerdoti
FAMIGLIA CRISTIANA – 20/06/2017  
                       
Papa Francesco:
«Pregate perché io prenda esempio da don Milani»

Nelle parole del Papa l'abbraccio della Chiesa che don Lorenzo Milani ha desiderato fino alla morte,
il riconoscimento del suo essere sacerdote, non solo maestro non solo pacifista. Un fatto storico, ecco perché


«Pregate per me perché anche io sappia prendere esempio da questo bravo prete». Quel bravo prete è don Lorenzo Milani  e più chiaro e diretto di così Papa Francesco non avrebbe potuto essere. Non c'era questa frase nel discorso preparato, non c'era la frase finale rivolta ai sacerdoti: "Prendete la fiaccola e portatela avanti». Le ha aggiunte a braccio.
Don Milani aveva ragione, quando nel suo tono sempre un po' provocatorio diceva: «Mi capiranno tra 50 anni». Forse faceva un numero, per dirla con parole sue, «per dar forza al discorso». Ma la contingenza della storia ha voluto che fosse una cifra esatta, che servissero davvero 50 anni - don Milani è morto il 26 giugno del 1967 - perché un papa venisse quassù, a Barbiana - una Barbiana restaurata con la vasca azzurra come allora non era-, al margine del margine del mondo, nella parrocchia che doveva chiudere e che fu tenuta aperta per isolare un sacerdote che allora si diceva "scomodo" e che oggi papa Francesco dice «ha lasciato una traccia luminosa».
Per molto tempo, don Lorenzo Milani è stato raccontato come l'educatore, il maestro, l'obiettore di coscienza - non senza distorsioni e strumentalizzazioni da parti assortite -: quasi che fosse marginale nella sua presenza storica il suo essere prete. Lo si è raccontato lasciando nell'ombra il lato che a don Milani premeva di più, perché fondava il senso della sua esistenza cristiana: il riconoscimento del suo sacerdozio da parte della Chiesa.
Cinquant'anni dopo Papa Francesco sana, dichiarandolo esplicitamente, questa mancanza. Mette il punto più importante alla fine, Papa Francesco, quasi per lasciarne il significato scolpito - come a segnare un passaggio che chi studierà il rapporto tra don Lorenzo Milani e la Chiesa di qui in poi non potrà ignorare -: «Non posso tacere che il gesto che ho oggi compiuto vuole essere una risposta a quella richiesta più volte fatta da don Lorenzo al suo Vescovo, e cioè che fosse riconosciuto e compreso nella sua fedeltà al Vangelo e nella rettitudine della sua azione pastorale. In una lettera al Vescovo scrisse: "Se lei non mi onora oggi con un qualsiasi atto solenne, tutto il mio apostolato apparirà come un fatto privato...". Dal Cardinale Silvano Piovanelli, di cara memoria, in poi gli Arcivescovi di Firenze hanno in diverse occasioni dato questo riconoscimento a don Lorenzo. Oggi lo fa il Vescovo di Roma. Ciò non cancella le amarezze che hanno accompagnato la vita di don Milani – non si tratta di cancellare la storia o di negarla, bensì di comprenderne circostanze e umanità in gioco –, ma dice che la Chiesa riconosce in quella vita un modo esemplare di servire il Vangelo, i poveri e la Chiesa stessa. Con la mia presenza a Barbiana, con la preghiera sulla tomba di don Lorenzo Milani penso di dare risposta a quanto auspicava sua madre: "Mi preme soprattutto che si conosca il prete, che si sappia la verità, che si renda onore alla Chiesa anche per quello che lui è stato nella Chiesa e che la Chiesa renda onore a lui... quella Chiesa che lo ha fatto tanto soffrire ma che gli ha dato il sacerdozio, e la forza di quella fede che resta, per me, il mistero più profondo di mio figlio... Se non si comprenderà realmente il sacerdote che don Lorenzo è stato, difficilmente si potrà capire di lui anche tutto il resto"».
Non per caso nelle parole del Papa emerge più di tutto il don Milani sacerdote: le definizioni che dà di don Milani lungo tutto lo snodo del discorso non sono scelte a caso. «Sono venuto a Barbiana» esordisce papa Francesco «per rendere omaggio alla memoria di un sacerdote che ha testimoniato come nel dono di sé a Cristo si incontrano i fratelli nelle loro necessità e li si serve». Agli allievi dice: «Voi siete i testimoni di come un prete abbia vissuto la sua missione, nei luoghi in cui la Chiesa lo ha chiamato, con piena fedeltà al Vangelo e proprio per questo con piena fedeltà a ciascuno di voi, che il Signore gli aveva affidato». E ancora: «La scuola, per don Lorenzo, non era una cosa diversa rispetto alla sua missione di prete, ma il modo concreto con cui svolgere quella missione, dandole un fondamento solido e capace di innalzare fino al cielo. Ridare ai poveri la parola, perché senza la parola non c’è dignità e quindi neanche libertà e giustizia: questo insegna don Milani. Ed è la parola che potrà aprire la strada alla piena cittadinanza nella società, mediante il lavoro, e alla piena appartenenza alla Chiesa, con una fede consapevole».
Papa Francesco sottolinea l'attualità di don Milani: «Questo vale a suo modo anche per i nostri tempi, in cui solo possedere la parola può permettere di discernere tra i tanti e spesso confusi messaggi che ci piovono addosso». Il papa parla esplicitamente di "umanizzazione", facendo riferimento a un concetto milaniano: la parola ai poveri non per farli diventare più ricchi, ma per farli diventare più uomini. Non per caso c'è più di Esperienze pastorali sotteso al discorso di don Milani a Barbiana di quanto non ci sia di Lettera a una professoressa. La cita, certo, quando parla agli educatori: ma al centro c'è il sacerdote non il maestro. «La vostra è una missione piena di ostacoli ma anche di gioie. Ma soprattutto è una missione. (…) Questo è un appello alla responsabilità. Un appello che riguarda voi, cari giovani, ma prima di tutto noi, adulti, chiamati a vivere la libertà di coscienza in modo autentico, come ricerca del vero, del bello e del bene, pronti a pagare il prezzo che ciò comporta. E questo senza compromessi».
Ai sacerdoti papa Francesco ricorda che «la dimensione sacerdotale di don Lorenzo Milani è alla radice di tutto quanto sono andato rievocando finora di lui. Tutto nasce dal suo essere prete. Ma, a sua volta, il suo essere prete ha una radice ancora più profonda: la sua fede. Una fede totalizzante, che diventa un donarsi completamente al Signore e che nel ministero sacerdotale trova la forma piena e compiuta per il giovane convertito. Sono note le parole della sua guida spirituale, don Raffaele Bensi, al quale hanno attinto in quegli anni le figure più alte del cattolicesimo fiorentino, così vivo attorno alla metà del secolo scorso, sotto il paterno ministero del venerabile Cardinale Elia Dalla Costa. Così ha detto don Bensi: "Per salvare l’anima venne da me. Da quel giorno d’agosto fino all’autunno, si ingozzò letteralmente di Vangelo e di Cristo. Quel ragazzo partì subito per l’assoluto, senza vie di mezzo. Voleva salvarsi e salvare, ad ogni costo. Trasparente e duro come un diamante, doveva subito ferirsi e ferire".  Essere prete come il modo in cui vivere l’Assoluto. Diceva sua madre Alice: "Mio figlio era in cerca dell’Assoluto. Lo ha trovato nella religione e nella vocazione sacerdotale". Senza questa sete di Assoluto si può essere dei buoni funzionari del sacro, ma non si può essere preti, preti veri, capaci di diventare servitori di Cristo nei fratelli". Don Lorenzo ci insegna anche a voler bene alla Chiesa, come le volle bene lui, con la schiettezza e la verità che possono creare anche tensioni, ma mai fratture, abbandoni».
E ancora: «La Chiesa che don Milani ha mostrato al mondo ha questo volto materno e premuroso, proteso a dare a tutti la possibilità di incontrare Dio e quindi dare consistenza alla propria persona in tutta la sua dignità».
Quelle ultime parole: «prendete e portate la fiaccola» sono l'abbraccio che don Lorenzo Milani ha desiderato una vita. Chi stava ascoltando sulle seggiole bianche di Barbiana lo sapeva, per aver vissuto con lui il dolore dell'incomprensione, e non per caso ha applaudito proprio i passaggi in cui ha sentito il riconoscimento atteso dal Priore per mezzo secolo.



Famiglia Cristiana - 19/06/2017  

Ecco la lettera che ha convinto il Papa
ad andare a Barbiana
Michele Gesualdi. Il suo libro.


Il 20 giugno papa Francesco si recherà in pellegrinaggio a Bozzolo e Barbiana per pregare sulle tombe di don Mazzolari e don Milani. Una decisione inaspettata e profetica, ma con un retroscena di cui sono stato testimone in prima persona.
Il 2 dicembre 2016, all’indomani della mia nomina a direttore di Famiglia Cristiana, per una bella coincidenza sono stato ricevuto in udienza da papa Francesco. L’occasione era la consegna delle cartoline di auguri mandate dai lettori per il suo compleanno. Nella nostra delegazione c’era anche il direttore editoriale del Gruppo San Paolo, don Simone Bruno, che ha donato al Pontefice il libro di Michele Gesualdi Don Lorenzo Milani. L’esilio di Barbiana. Vedendo la copertina Francesco ha esclamato: «Oh, don Milani!». Sapeva bene chi era il priore di Barbiana e lo apprezzava. All’interno del volume c’era una busta. «È una lettera», ha spiegato don Simone, «che l’autore, uno dei primi ragazzi di don Milani, ha voluto che le consegnassi personalmente». Francesco fece un segno inequivocabile al suo segretario, per far arrivare il libro e la lettera direttamente sulla sua scrivania.

Il testo integrale della lettera lo trovate pubblicato per la prima volta qui sotto. Le parole di Michele Gesualdi sono semplici e commoventi. E si concludono con l’invito ad andare a Barbiana: «Una sua visita, con il suo stile semplice e affascinante, in quella periferia da dove quella povera tomba e quella anomala scuola ci richiamano la radicalità del Vangelo che spinge a camminare sulla retta via, sarebbe un gran dono agli ultimi degli ultimi».
Francesco ha accolto l’invito ed è una gioia per noi esserne stati il tramite. Davvero un dono grande, destinato “agli ultimi degli ultimi”.


LA LETTERA DI MICHELE GESUALDI


Caro papa Francesco,
mi è gradito di farLe dono di questo mio ultimo lavoro su don Lorenzo. Ho scritto questo semplice libro per far conoscere ai ragazzi di oggi un grande prete-maestro innamorato di Gesù e della sua Chiesa. Il Gesù che ha incontrato nella trincea della povertà più profonda di Barbiana. Era insieme a quei poveri contadini con la loro stessa faccia denutrita e le mani callose dalla fatica. Con loro ha sofferto, gioito, vissuto la povertà vera, ogni giorno, senza sconti. A loro ha dedicato il suo sapere e il suo apostolato.
La miseria della profonda periferia di Barbiana ha donato a don Lorenzo occhi, orecchie, bocca e cuore nuovo che ne han fatto un uomo diverso: povero tra i poveri rimasto per sempre, nella vita e nella morte, priore di quel niente di Barbiana, che l’amore ha fatto divenire consistenza e parola capace di parlare a tanti cuori e altrettante coscienze, molto lontano. Era Amore con la a maiuscola, incondizionato.
A noi si è dedicato come solo un maestro, fratello, padre sa fare. Ed educato a stare con la classe degli ultimi, a non dimenticarci della umanità bisognosa, a tenere a bada il nostro egoismo e a studiare con e per gli altri, «perché non si tratta di produrre una nuova classe dirigente, ma una massa cosciente», diceva.
Una sua visita, con il suo stile semplice e affascinante, in quella periferia da dove quella povera tomba e quella anomala scuola ci richiamano la radicalità del Vangelo che spinge a camminare sulla retta via, sarebbe un gran dono agli ultimi degli ultimi. Barbiana è ancora oggi un luogo fatto di nulla, in cui salire in punta di piedi a pensare, pregare e ascoltare quel profondo silenzio che scuote.
Con sincero affetto filiale e stima profondissima,
Michele Gesualdi
FAMIGLIA CRISTIANA - 19/01/2017  

E' morto Michele Gesualdi,
il "primo" ragazzo di don Milani

Tra i primi ad arrivare a Barbiana, accompagnato da un sacerdote amico, Michele Gesualdi, con il fratello minore Francuccio è di fatto stato cresciuto da don Milani.
Non per caso il testamento di don Lorenzo si apre così: "Caro Michele, caro Francuccio, cari ragazzi...".

Ripubblichiamo la sua ultima intervista concessa a Famiglia Cristiana.


È uno dei sei ragazzi che ha vissuto un’esperienza unica accanto a don Lorenzo Milani. L’ha conosciuto bene come prete e maestro, ma anche come uomo e padre. Per anni, come presidente della Fondazione Don Milani, ha dato la parola direttamente al priore di Barbiana, pubblicando e divulgando i suoi scritti. Ora, per la prima volta, Michele Gesualdi parla direttamente di don Milani, attingendo al prezioso scrigno dei tanti ricordi che s’è tenuto gelosamente dentro, per rispetto al suo “maestro”.
E lo fa con uno straordinario libro, L’esilio di Barbiana (edito dalla San Paolo), con rivelazioni inedite sulla vita di don Milani. Ma anche sulle mille sofferenze che l’amore infinito che aveva per il Vangelo, i poveri e la Chiesa gli hanno procurato dentro e fuori la sua stessa comunità ecclesiale. Un profeta incompreso e avversato, che oggi si prende una rivincita sulle tante falsità e cattiverie patite, con un crescendo di interesse per la sua opera e il suo insegnamento. Quella “cattedra del niente” ha varcato i confini di uno sperduto e sconosciuto paesino dell’Appennino. E ci interpella su temi cari a don Milani, oggi forse ancora più attuali, come se il tempo si fosse fermato.


Come spiega – chiedo a Michele Gesualdi – questo “miracolo di Barbiana”? Qual è il suo segreto?
«Don Lorenzo trovò nell’esilio di Barbiana la povertà e l’emarginazione più profonda, se ne fece carico con dedizione e amore straordinario. Non come opera di carità, ma come impegno di vita volto a combattere le cause che feriscono gli ultimi, perché l’ingiustizia sociale offende Dio e gli uomini. L’elemosina umilia chi la riceve e gratifica chi la elargisce. Chi ama veramente i poveri, invece, si batte ogni giorno per rimuovere le cause che provocano emarginazione sociale e umiliazione. Era questo un punto fermo nel suo insegnamento».


Come si poneva don Lorenzo Milani nei confronti della società del nostro Paese?
«A 17 anni mi mandò un anno in Germania per perfezionare la lingua tedesca. All’inizio ero reticente, “Devi andare per imparare a dominare più lingue straniere possibile”, mi disse, “e diventare un giorno eurosindacalista. Dopo manderò anche gli altri e se fallisci te, mi fallisce la scuola”. L’obiettivo del suo insegnamento era renderci cittadini consapevoli capaci di lottare contro le ingiustizie sociali. La sua era una scelta di parte totale, da rivendicare direttamente nella responsabilità di ministro evangelico. Una posizione che difendeva con forza e fermezza, una scelta tutta religiosa che non fu capita né fuori e né dentro la Chiesa. Dirà al giovane comunista Pipetta: “Quando avremo sfondato insieme la cancellata del ricco, quel giorno ti tradirò e tornerò nella tua casa piovosa e puzzolente a pregare per te di fronte al mio Signore crocifisso”. Questo il vero segreto che ha consentito a don Lorenzo di parlare molto lontano sia come tempo sia come luogo: l’amore sconfinato per i poveri. Oggi il segno della sua autenticità si intravede nella sproporzione tra l’esiguità di Barbiana e l’incidenza che ha avuto nel mondo».


La Chiesa non ha colto la “profezia” di don Milani. Anzi, l’ha esiliato e avversato in ogni modo, e non ha accettato la sua eredità. Sono passati anni perché fosse riabilitato. E solo nel 2014, con papa Francesco, è venuto meno il divieto di pubblicare il suo famoso libro Esperienze pastorali. C’è il rischio di celebrare don Milani, appropriandosi di qualche suo slogan, senza averne compreso a fondo l’insegnamento?
«L’esilio di Barbiana non è stato un errore momentaneo ma, come dimostro nel libro, una volontà precisa che lo ha colpito per tutta la vita, anche dopo, nel tentativo di chiudergli la bocca e uccidere il suo modo di fare apostolato. Con lui non è stata tenera neppure la Magistratura, che lo ha processato per la sua difesa all’obiezione di coscienza e condannato per apologia di reato. Non da meno, ampi strati della società civile che l’hanno insultato e strumentalizzato in modo feroce. Oggi che si è affermato come autentico servitore di Dio e che con le sue idee e denunce si è imposto tra i più lucidi innovatori della società, il clima è cambiato. Molti hanno compreso quanto la mancanza di interesse personale renda onesti e lucidi nella ricerca della verità e onorano don Lorenzo recandosi, da pellegrini e in punta di piedi, nel suo eremo. Altri invece lo celebrano non per servirlo ma per servirsene oppure, anche tra i sacerdoti, mostrano di esaltarlo ma gli sono lontanissimi con l’esempio di vita. I poveri che sono stati accolti da don Lorenzo giudicano severamente i primi. Gli altri, sarebbe bene si ricordassero che è difficile seppellire il martirio se non si ha uno stile di vita coerente con i valori indicati da colui che si vuol celebrare. Papa Francesco, eliminando dopo 56 anni la condanna a Esperienze pastorali, ha abbracciato davvero don Lorenzo e la sua attività pastorale».

Il cuore dell’opera di don Milani è stata la scuola. Attraverso un’educazione che insegnava a vivere e a riscattarsi da una condizione di inferiorità ed emarginazione, ha dato ai suoi ragazzi la possibilità di entrare da protagonisti nella società per cambiarla. Crede che la lezione di Lettera a una Professoressa sia stata accolta dalla scuola odierna o molti alunni restano ancora indietro?
«La scuola di don Lorenzo indicava ai ragazzi sempre obiettivi nobili e alti per cui studiare. Non si lasciava mai nessuno indietro. Se un ragazzo si fermava veniva preso per mano e portato al livello degli altri per riprendere il cammino insieme. Purtroppo la scuola di Stato indica obiettivi molto più individualistici. I ragazzi hanno dentro corde straordinarie: se riusciamo a far vibrare quelle giuste si impegnano straordinariamente, se invece si toccano quelle sbagliate mandano tutto al diavolo e si perdono. Tocca in primo luogo alla scuola e alla famiglia far vibrare le corde giuste, oggi poi che sono moltiplicati i cattivi maestri: droga, violenza e, se mal usati, Internet e telefonini. E lo Stato anziché aiutare i bravi maestri, e ce ne sono tanti, ha spesso prodotto riforme lontane dalla lezione di Lettera a una Professoressa mentre, con qualche ipocrisia, emana francobolli per ricordare Barbiana. Purtroppo la scuola è ancora selettiva e la dispersione altissima. Continua a colpire le nuove e tante Barbiana del mondo che hanno solo cambiato luogo e colore della pelle».

A don Milani hanno appiccicato tante etichette: “prete di sinistra”, “prete rivoluzionario”, “prete contestatore”, “prete eccentrico”, “prete sovversivo”. Ma gli hanno detto anche di peggio, sia da parte del mondo laico sia da parte della Chiesa: qual è la migliore definizione da parte di chi l’ha conosciuto davvero a fondo?
«Don Lorenzo era un prete, un prete che ha vissuto la sua vocazione con autenticità e dedizione assoluta. Era fedelissimo alla sua Chiesa, guai a chi gliela toccava: “Io nella Chiesa ci sto per i sacramenti, non per le mie idee”, diceva, “e ubbidisco subito per non perderli, perché valgono infinitamente più delle mie idee”. Oppure: “Amo la mia carissima moglie Chiesa molto più di quando la incontrai la prima volta”. Lui parlava chiaro al suo vescovo, non per contestarne la funzione, ma perché avrebbe voluto un impegno diverso a favore degli ultimi. Era un sacerdote rigorosissimo e di grande fedeltà. Tutte le scelte dopo la conversione le ha fatte come prete, per servire Dio e la Chiesa».

L’amore per i poveri e l’impegno per la giustizia sono alla base della vocazione di don Milani, come cristiano e come prete. Disse d’aver amato più i poveri che Dio stesso. Secondo lei, una scelta evangelica così radicale è presente nella Chiesa d’oggi?
«Papa Francesco si muove su questa strada, ogni giorno ci ricorda le scelte di povertà e accoglienza nei confronti dei più bisognosi. Sta sicuramente stimolando tutta la Chiesa a vivere questi valori con impegno e coerenza».

Crede che don Milani sarebbe piaciuto a papa Francesco? In che cosa sono simili tra loro?
«Papa Francesco sarebbe piaciuto molto a don Lorenzo, tra i due noto diverse affinità. Prima di tutto la scelta verso i poveri e il comune riferimento alla figura e all’esempio di san Francesco. Un anno, su disegno del Priore realizzammo un mosaico di vetri colorati. Rappresentava un fraticello, ad altezza naturale, che studia nel prato, vestito con saio e sandali francescani. Anche don Lorenzo portava quei sandali con plantari ritagliati da un copertone e tenuti da due strisce di cuoio. “Lo abbiamo fatto in vostro onore”, disse a noi ragazzi, “che conducete una vita da fraticelli di clausura”. Quel mosaico lo mise in chiesa a Barbiana, dove si trova tutt’ora. Sorprendono poi le definizioni che entrambi danno di loro stessi: papa Francesco spesso chiede di pregare per lui “peccatore” a cui il Signore “ha rivolto lo sguardo”. Don Lorenzo si confessava spessissimo per essere ripulito dai suoi peccati. Partiva spesso da Barbiana, alle 6 del mattino, e camminava 40 minuti nel bosco per confessarsi nella parrocchia più vicina. “La scuola insegna a capire la realtà”, ha dichiarato pubblicamente Bergoglio, “e se uno ha imparato a imparare rimane una persona aperta alla realtà. Lo insegnava anche un grande educatore italiano, che era un prete, don Lorenzo Milani.” A Barbiana si imparava facendo e si apprezzava la scuola. Papa Francesco con queste parole ha invitato ad amare la scuola come veniva fatta dal prete Lorenzo Milani. Sono entrambi educatori capaci di valorizzare le piccole cose nel grande progetto che guida Dio. Sarebbe bello se papa Francesco con il suo stile semplice si recasse a Barbiana, profonda periferia d’Italia, per dire una preghiera sulla tomba di don Lorenzo».

A cinquant’anni dalla morte di don Milani, quale “seme di speranza” vorrebbe che rifiorisse per la società e per la Chiesa da quella dura terra di Barbiana?
«Intanto vorrei che Barbiana restasse luogo di pensiero e preghiera. Come Fondazione Don Lorenzo Milani continuiamo a contrastare ogni tentativo di trasformarla in luogo di scampagnate e curiosità turistiche per mantenerla povera e austera come ai tempi di don Lorenzo. Una povertà che parla, racconta la sofferenza e il riscatto. Il seme della speranza seminato da don Lorenzo è teso ancora oggi a colmare la differenza tra i primi e gli ultimi, i ricchi e i poveri, i colti e gli incolti, la fame e lo spreco, la guerra e la pacifica convivenza. Ingiustizie e sofferenze che si stanno allargando e che devono essere combattute con l’impegno personale e la responsabilità di ognuno».

Lei ha ancora una “montagna di memorie” su don Lorenzo Milani che, nonostante le pressioni di sua figlia Sandra, continua a tenere riservate nella sfera dell’anima. Possiamo sperare che, prima o poi, ceda alle insistenze di sua figlia per una prossima condivisione di quell’immenso patrimonio che è stata l’esperienza di Barbiana?
«Resto convinto che don Lorenzo si conosca ascoltandolo direttamente, per questo per molti anni dopo la sua morte l’ho fatto parlare. Raccogliendo e pubblicando le lettere postume, poi rendendo noti i carteggi ai sacerdoti e altri suoi scritti o interventi inediti. Questo ha consentito di spazzare ogni ombra su di lui e imporlo per l’autentico uomo di Dio che ha servito la sua Chiesa con coerenza e fedeltà attraverso la cura dei suoi poveri. Oggi è per tanti punto di riferimento nella Chiesa, nella scuola, nella società. È la prima volta che parlo direttamente di lui e l’ho fatto per rispondere alla domanda ricorrente dei ragazzi delle scuole che salgono sempre più numerosi con i loro insegnanti a Barbiana. Impressionati dalla scarsezza e inagibilità del luogo e dai messaggi che da là sono partiti chiedono: “Ma perché lo hanno scacciato lassù per tappargli la bocca?”. I ragazzi meritavano una risposta. Poi il lavoro ha assunto una valenza più ampia e articolata e mi auguro che possa aiutare a far conoscere meglio il don Lorenzo prete, uomo, maestro e padre. È vero, dei tredici anni trascorsi a Barbiana accanto a lui avrei tante altre cose da raccontare e non escludo di farlo in futuro. Senza però intaccare i sentimenti e gli affetti personali che appartengono alla sfera dell’anima e che, soprattutto nei confronti dei familiari, si desidera conservare per sé. Come fanno con me i miei figli, compresa Sandra».

REPUBBLICA – 20 giugno 2017
PAOLO RODARI

Il Papa sulla tomba di don Milani: "Servo esemplare del Vangelo, lo dico da Papa"

Francesco a Barbiana: "Sono qui per la verità su Don Milani"

Il pontefice sulla tomba del sacerdote incompreso "
La mia presenza per dare al prete fiorentino quello che in vita non riuscì ad avere"


BARBIANA. Francesco arriva a Barbiana dove è sepolto don Lorenzo Milani e dice che la sua presenza è per dare al prete fiorentino quello che in vita non riuscì ad avere: il riconoscimento e la comprensione nella sua fedeltà al Vangelo e nella rettitudine della sua azione pastorale.
In una lettera al vescovo, don Milani scrisse: "Se lei non mi onora oggi con un qualsiasi atto solenne, tutto il mio apostolato apparirà come un fatto privato...". Dal cardinale Silvano Piovanelli in poi gli arcivescovi di Firenze hanno in diverse occasioni dato questo riconoscimento a don Lorenzo. Ma oggi è il vescovo di Roma a farlo. Dice Francesco: "Ciò non cancella le amarezze che hanno accompagnato la vita di don Milani - non si tratta di cancellare la storia o di negarla, bensì di comprenderne circostanze e umanità in gioco - ma dice che la Chiesa riconosce in quella vita un modo esemplare di servire il Vangelo, i poveri e la Chiesa stessa".
E ancora: "Con la mia presenza a Barbiana, con la preghiera sulla tomba di don Lorenzo Milani penso di dare risposta a quanto auspicava sua madre: 'Mi preme soprattutto che si conosca il prete, che si sappia la verità, che si renda onore alla Chiesa anche per quello che lui è stato nella Chiesa e che la Chiesa renda onore a lui... quella Chiesa che lo ha fatto tanto soffrire ma che gli ha dato il sacerdozio, e la forza di quella fede che resta, per me, il mistero più profondo di mio figlio... Se non si comprenderà realmente il sacerdote che don Lorenzo è stato, difficilmente si potrà capire di lui anche tutto il resto. Per esempio il suo profondo equilibrio fra durezza e carità'. Il prete 'trasparente e duro come un diamante' continua a trasmettere la luce di Dio sul cammino della Chiesa".
Per Francesco non ci sono dubbi: don Milani è stato un prete che ha vissuto "la sua missione, nei luoghi in cui la Chiesa lo ha chiamato, con piena fedeltà al Vangelo". Aveva una "passione educativa", il suo intento era "di risvegliare nelle persone l'umano per aprirle al divino".



SOLE 24ORE – 20 giugno 2017
di Carlo Marroni

in visita a Barbiana

Il Papa sulla tomba di don Milani, il prete scomodo che (per ora) non diventerà beato


All' arrivo del Papa le campane della chiesa di Barbiana hanno suonato a festa. Il Pontefice argentino atterra alle pendici del Monte Giovi, dove don Lorenzo Milani fu esiliato dalle gerarchie e da dove avviò un esperimento culturale e politico che ha contribuito a cambiare la storia dell'Italia. E per questo viene ancora attaccato dalle correnti conservatrici che gli attribuiscono delle colpe su un presunto malfunzionamento della scuola italiana (che ha ben altri responsabili). Il Papa è voluto andare a Barbiana e prima a Bozzolo, nel mantovano, per pregare e ricordare don Primo Mazzolari, prete-partigiano della bassa, una delle figure di spicco del migliore cattolicesimo politico italiano.
«Ridare ai poveri la parola, perché senza la parola non c'è dignità e quindi neanche libertà e giustizia: questo insegna don Milani» ha detto il Papa a Barbiana dove ha pregato sulla tomba del Priore, e ha aggiunto: «Ed è la parola che potrà aprire la strada alla piena cittadinanza nella società, mediante il lavoro, e alla piena appartenenza alla Chiesa, con una fede consapevole. Questo - ha osservato - vale a suo modo anche per i nostri tempi, in cui solo possedere la parola può permettere di discernere tra i tanti e spesso confusi messaggi che ci piovono addosso, e di dare espressione alle istanze più profonde del proprio cuore, come pure alle attese di giustizia di tanti fratelli e sorelle che aspettano giustizia. Di quella umanizzazione - ha aggiunto - che rivendichiamo per ogni persona su questa terra, accanto al pane, alla casa, al lavoro, alla famiglia, fa parte anche il possesso della parola come strumento di libertà e fraternità».

Il “gesto” del papa verso don Lorenzo, che lo attendeva dal suo vescovo
«Il prete 'trasparente e duro come un diamante' continua a trasmettere la luce di Dio sul cammino della Chiesa, prendete la fiaccola e portatela avanti», dice Bergoglio concludendo il ricordo di don Lorenzo Milani, nello spiazzo adiacente la casa di Barbiana. «Pregate per me, non dimenticate, che anche io prenda l'esempio di questo bravo prete, e anche voi sacerdoti, anche anziani, perché non c'è pensione per i sacerdoti, tutti avanti, e con coraggio». E ancora: «Non posso tacere che il gesto che ho oggi compiuto vuole essere una risposta a quella richiesta più volte fatta da don Lorenzo al suo vescovo, che fosse riconosciuto e compreso nella sua fedeltà al Vangelo e nella rettitudine della sua azione pastorale». Lo hanno già fatto il card. Piovanelli e gli arcivescovi di Firenze (nessuno ha avuto il processo di beatificazione, in ogni caso, ndr) «oggi lo fa il vescovo di Roma», «ciò non cancella amarezze» «ma dice che la Chiesa riconosce in quella via un modo esemplare di servire il Vangelo». Una voce importante è quella del cardiale Gualtiero Bassetti, toscano di Marradi (vicino Barbiana, nel Mugello), presidente della Cei: «Per come l'ho conosciuto io, don Lorenzo Milani è santo. E il santo non è colui che ha meno difetti di tutti o che moralmente ha il profilo più alto di tutti. Questa è una concezione della santità un po' superata. Il santo è uno che è vaccinato di Spirito Santo. E che rimane anche con il suo caratteraccio» ha detto il presidente della Cei in un'intervista al Tg2000, il telegiornale di Tv2000, durante lo speciale in occasione del pellegrinaggio di Papa Francesco a Bozzolo e Barbiana per don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani.

«Don Lorenzo a volte ha avuto dei modi di trattare quasi al limite. Ma perché è santo ? (dico santo in senso lato) perché tutto nasceva dalla purezza del suo cuore e lui insegnava anche in quel modo. Lui si superava tutti giorni. Quella di don Lorenzo è una santità che sarebbe difficilmente canonizzabile secondo anche gli schemi che abbiamo oggi e poi forse non ce n'è bisogno. Non c'è bisogno che don Lorenzo faccia i miracoli perché la sua vita è stata un miracolo». Parole chiare contro il processo di beatificazione di don Milani sono venute dall'arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori, in una dichiarazione riportata dall'Ansa: non ci sarà alcun «processo canonico. Assolutamente no, almeno fino a quando ci sarò io. Dopo non tocca a me dirlo... ma io non credo alla santità di don Lorenzo: qui non ci farò un santuario» ha detto il cardinale, ex segretario della Cei con Camillo Ruini, al termine della visita di Francesco. «A Barbiana mi aspetto che non cambi nulla», ha aggiunto Betori ricordando che già ora la piccola chiesa di don Lorenzo è meta di oltre 10 mila persone l'anno, moltissimi studenti.

parrocchia stagno lombardo 2020
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