Annunciare il vangelo agli adulti
Enzo Biemmi
· Al centro la Parola
La prima convinzione largamente condivisa è il primato da assegnare alla Parola di Dio in qualsiasi forma di evangelizzazione. Non esiste annuncio che non scaturisca dalla Parola e che non si traduca come risposta ai suoi appelli. Annunciando, la Chiesa dice da dove essa nasce: dalla Parola ascoltata, celebrata e vissuta.
I risultati più significativi a livello di prima evangelizzazione (per persone non ancora raggiunte dall'annuncio cristiano), di rievangelizzazione (di persone battezzate, ma lontane) e anche di catechesi di approfondimento per persone inserite nella comunità si ottiene là dove si torna ad annunciare, leggere ed attualizzare la Parola. Il buon pane della Parola sta tornando poco per volta alla gente, e se ne sentono gli effetti benefici.
Ci sono comunità parrocchiali che sono rinate grazie al ritorno della Parola: essa mantiene una forza di appello uguale a quella che aveva agli inizi, nel mondo pagano.
Questo primato ridato alla Parola permette di liberare l'annuncio da una eccessiva ritualizzazione (un annuncio per troppo tempo finalizzato ai sacramenti), e di ricuperare la dimensione relazionale della fede. La Parola è sempre infatti la rivelazione di un appello alla libertà umana come risposta a un Dio che si autocomunica nel Figlio suo Gesù Cristo. La Parola porta anche ad un ricupero della dimensione spirituale, che si è sovente smarrito dentro forme di catechesi o troppo dottrinali o troppo esperienziali.
· Raccontare Dio
Una seconda convinzione che cresce è il bisogno di passare da forme di annuncio impostate sui registri dell’insegnamento e della spiegazione a forme di racconto della fede. Infatti, siamo chiamati ad annunciare una persona. “Evangelizzare Gesù” (At 8,35) è raccontare Gesù. Veniamo da una catechesi illuministica e dottrinale. Quando la gente cerca la vita, e non più le idee, è necessario tornare a raccontare. Quando una cultura è in mal d’identità, bisogna tornare a raccontare. Quando si è disorientati e si ha sete, bisogna tornare a raccontare.
Raccontare Gesù e non spiegare Gesù[14]. Il racconto è un tessuto di esperienze, non un complesso di idee e di nozioni. Nel racconto si intrecciano sempre tre storie: la storia di Gesù e della comunità primitiva, la storia del narratore, la storia degli ascoltatori. Si racconta la storia fondante di una persona che è giunta alla sua realizzazione e l’ha resa accessibile agli altri (risurrezione); si racconta la storia del Signore così come essa è andata a segno nella propria esistenza, come ha salvato la propria vita (chi racconta è competente a narrare se è già stato salvato dalla storia che narra); si racconta la storia del Signore come storia che interpella, che offre significati e traccia itinerari. Raccontando così la fede, essa ha già in se stessa la capacità di produrre ciò che annuncia.
· Rapporti veri
Un’altra convinzione che si è fatta strada è la necessità di un annuncio e di una pastorale basati sui rapporti personali, sulle esperienze di relazione interpersonale, e sempre di meno sulle strutture. La fede nasce dai rapporti. Stiamo in qualche modo tornando ad una situazione simile a quella della comunità primitiva. Le prime 'chiese' sono nate da esperienze di comunicazione, attorno ad un evento che ha fatto irruzione nella loro vita. Le comunità sono nate da parole profonde che un gruppo di uomini e donne si sono scambiati, parole rese possibili dalla Parola, dall'esperienza comune del Signore Risorto. Questa esperienza originaria, torna a rivelarsi decisiva in un processo di nuova evangelizzazione. Essa comporta due risvolti:
- la necessità di puntare su nuclei piccoli, su comunità primarie, gruppi di intense relazioni interpersonali, per avviare un processo di trasformazione evangelica. E' una strada che viene incontro al bisogno della gente, dentro un contesto segnato dall'anonimato, dall’aumento dei mezzi di comunicazione e dalla diminuzione della capacità di comunicazione vera;
- la consapevolezza che nulla sostituisce il rapporto di testimonianza e di annuncio da persona a persona. Usando un'espressione provocatoria, si potrebbe lanciare l'invito a intraprendere una strategia di adozione spirituale: “adotta un adulto”. Adottare un adulto significa accettare la strada lunga dell'accostamento personale, della testimonianza come presenza e come parola con le persone con le quali si vive in famiglia, nel posto di lavoro, nelle attività sociali o del tempo libero. Il tempo dell’esclusiva in campo religioso, dei grandi numeri o della totalità delle adesioni è tramontato. Inizia il tempo dei piccoli passi.
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Enzo Biemmi è un religioso, "fratello" appartenente alla Congregazione dei Fratelli della Sacra Famiglia. Si è formato prima all'Università di Filosofia di Torino, poi allo Studio Teologico di Verona. Si è specializzato in pastorale e catechesi all'Istituto Superiore di Pastorale Catechistica di Parigi (ISPC) e ha conseguito il dottorato in teologia all'Università Cattolica di Parigi e in Storia delle Religioni e Antropologia Religiosa alla Sorbona.
Dal 1997 al 2003 è stato direttore della rivista Evangelizzare (EDB). E' direttore dell'Istituto Superiore di Scienze Religiose di Verona, diocesi nella quale ha ricoperto per dieci anni il ruolo di responsabile della formazione dei catechisti degli adulti. Ha sempre cercato di coniugare riflessione e sperimentazione pastorale, come documentano le sue pubblicazioni e i suoi interventi in varie riviste e convegni ecclesiali.
Attualmente è membro della Consulta nazionale per la catechesi e Presidente dell'Equipe europea dei catecheti.
Tra i suoi scritti ricordiamo:
Accompagnare gli adulti nella fede. Linee di metodologia catechistica, Elledici 1994;
Collana: Itinerari di catechesi degli adulti, 10 volumi pubblicati (Abbiamo incontrato Gesù,1994; Siate perfetti come il Padre vostro,1995; Parabole di vita, 1996; La novità del Vangelo, 1997; Nella forza dello Spirito, 1998; Vivere da figli, 1998; Ecco io faccio nuove tutte le cose, 1999; Sulla strada del crocifisso, 2000; Davvero il Signore è risorto, 2000; Una Chiesa che serve, 2001) EDB; in collaborazione;
(con Laiti) Tempi forti, sussidio per la catechesi dei tempi di Avvento e Quaresima, EDB, 1997-1999;
Compagni di viaggio. Laboratorio di formazione per animatori, catechisti di adulti e operatori pastorali, EDB 2003;
Il secondo annuncio. La grazia di ricominciare. Enzo Biemmi, EDB 2011.
L’esperienza della diocesi di Rimini
don Guido Benzi
Riprendiamo, per gentile concessione, il testo della relazione tenuta da don Guido Benzi il 26 settembre 2000 a Rimini e pubblicata nel volume Il vangelo di Giovanni. Atti della Settimana biblica di Rimini 25-28 settembre 2000, nella collana Nuovi quaderni dell’Ufficio catechistico Diocesano di Rimini, Il Ponte, Rimini, 2000, pp. 15-22, con il titolo La scelta pastorale dei gruppi di ascolto. Note di metodologia.
Le seguenti note sono solo un invito a "contestualizzare" il lavoro nei Centri di ascolto. Esse non vogliono indicare un modo "obbligato", ma vogliono aiutare gli Animatori od i partecipanti più coinvolti a viverli come vera esperienza di incontro ecclesiale con la Parola di Dio, nella Comunità cristiana, con la fiducia di proporre un cammino di Chiesa a tutti i battezzati che vivono in un dato territorio. Per questo il Centro di Ascolto (CdA), come diremo più sotto, è esso stesso espressione di una Comunità Parrocchiale che, fedele al suo mandato ed in ascolto dello Spirito, pensa la sua azione pastorale in vista di coloro che sono chiamati all'ascolto del Signore, poiché "Egli è il Signore di tutti" (At 10,36).
Una scelta di Chiesa
Innanzitutto dobbiamo dirci in modo molto chiaro che l'esperienza dei CdA, che da ormai due anni la nostra Chiesa diocesana propone nelle singole Parrocchie, obbedisce ad un cammino di Chiesa più ampio scaturito dal Concilio Vaticano II e dalle seguenti indicazioni della Chiesa. Dobbiamo fare questo per fugare ogni dubbio sul fatto che si tratti di una proposta di carattere solamente "sociologico".
Il CdA infatti nelle sue varie forme, non è primariamente un "modo" per coinvolgere "più persone", e nemmeno una forma autonoma di vivere la realtà della Chiesa. Esso obbedisce al comando del Concilio espresso nella Costituzione Dei Verbum che al n. 25 dopo aver ricordato le parole di San Girolamo: "L'ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo - aggiunge - Tutti i fedeli... si accostino dunque volentieri al Sacro testo, sia per mezzo della Liturgia ricca di parole divine, sia mediante la pia lettura, sia per mezzo delle iniziative adatte a tale scopo e di altri sussidi, che con l'approvazione e a cura dei pastori della chiesa lodevolmente si diffondono ovunque. Si ricordino però che la lettura della Sacra Scrittura dev'essere accompagnata dalla preghiera, affinché possa svolgersi il colloquio tra Dio e l'uomo...".
Il Concilio richiama alcuni punti che non possiamo qui trascurare:
1. Innanzitutto la Liturgia. Essa che è fonte e culmine della vita della Chiesa deve essere sempre il punto di partenza ed il punto di arrivo della nostra lettura della Bibbia nei CdA. In particolare la Liturgia Domenicale. È in vista di essa che noi aiutiamo le Persone ad aprire le Scritture. E perché le persone possano parteciparvi con un maggiore spirito di preghiera e contemplazione che noi le chiamiamo a confrontarsi con il Vangelo.
Si tratta dunque di una lettura della Bibbia che deve sempre tenere bene sullo sfondo l'Eucarestia della Domenica e con essa tutte le altre forme liturgiche come la recita della liturgia delle Ore e la celebrazione dei Sacramenti.
2. In secondo luogo la vita pastorale intesa come Catechesi e Testimonianza della Carità. Leggere la Scrittura significa imparare dalle parole di Dio il Cuore di Dio (S. Gregorio Magno) e significa svolgere ogni opera di Carità (educativa, verso i poveri, verso gli ammalati,..) non solo come una forma di "solidarietà sociale", ma come un preciso mandato che scaturisce dal Vangelo.
3. In terzo luogo la preghiera come intimo colloquio con il Signore. L'immagine biblica dei discepoli di Emmaus (Lc 24) i quali sentono "bruciare il cuore" quando Gesù spiega loro le scritture, prima di riconoscerlo vivo e Risorto nello "spezzare il pane", deve sempre accompagnarci.
La Conferenza Episcopale Italiana ha elaborato una Nota Pastorale nel 1995 dal titolo "La Bibbia nella vita della Chiesa", nella quale si ribadisce quanto disposto dal Concilio e lo si rende operativo istituendo il Settore di Apostolato Biblico negli Uffici Catechistici. In particolare al n. 32-33 si parla di "gruppi biblici" e di "settimane bibliche" e della presenza della Bibbia "nelle famiglie"; mentre al n° 36 si parla esplicitamente della formazione degli "operatori".
Il metodo del CdA
Il metodo del CdA deve tener conto di due "protagonisti": la Comunità e la Parola di Dio.
1. Partiamo dal Gruppo di persone che vi partecipa, ognuna con le sue caratteristiche e con il proprio cammino di fede. Esse sono accomunate dalla ricerca della Volontà di Dio, che può essere ancora embrionale, oppure matura. È importante sottolineare che tutti siamo però sulla medesima strada nell'incontro con Gesù Cristo Risorto.
Se ci pensiamo bene il CdA deve essere un gruppo dinamicamente aperto alla comunità ecclesiale, sia nel senso che deve essere disponibile ad accogliere quanti desiderano (magari anche con le idee poco chiare, o dubbi, o situazioni personali assai distanti dalla pratica religiosa), ma anche nel senso che esso si sente parte della Chiesa (in concreto della Comunità Diocesana e Parrocchiale): ad essa fa riferimento e da essa riceve il mandato e gli strumenti operativi per la formazione e per la riflessione. In tal modo si deve sempre pensare che "dietro" un CdA c'è sempre una Comunità molto più ampia del numero delle persone presenti. Il dialogo, che è lo strumento principale del CdA, è pertanto apertura a trecento sessanta gradi alla dimensione ecclesiale, costante desiderio di confronto, E non sarebbe male pensare, anche nel momento di preghiera in apertura o in chiusura a questa realtà, ricordando, nella preghiera i Pastori, i Catechisti, gli evangelizzatori, tutto il Popolo di Dio, da Maria fino all'ultimo dei battezzati.
2. Anche la Parola di Dio che apriamo testimonia una pluralità di persone; essa ci fa sempre ascoltare la voce di Dio e del Figlio suo Gesù Cristo mediata attraverso una serie di voci umane, ispirate dallo Spirito Santo. La Bibbia stessa testimonia, con i suoi tanti autori, scrittori, commentatori, quella realtà ampia ed estesa nei tempi che ha accolto e trasmesso la Parola di Dio. L'utilizzo poi di commenti e sussidi ci testimonia un "lavoro" che è iniziato prima di noi e che con noi prosegue. Da questo si vede come un vero atto di lettura della Parola di Dio non può non essere "ecclesiale". Ogni lettura della Bibbia al di fuori della Chiesa o in contrasto con essa snatura la stessa Parola del Signore. Questo comporta che prima di tutto il CdA deve tener conto della lettura della Parola. È importante allora un atteggiamento orante, aprendo l'incontro con una invocazione allo Spirito Santo, con anche qualche minuto di silenzio prima e dopo la lettura. Siamo tutti interpellati dalla medesima Parola.
Chi è coinvolto nel CdA
Proviamo così ad individuare i vari "attori" del CdA.
1. Il Responsabile o Animatore del CdA.
Si tratta normalmente della persona incaricata dal Parroco e dalla comunità ad invitare i partecipanti al CdA, e normalmente ad animare il CdA stesso. Qualche volta (e questo è bene) le due figure non sono la stessa persona, infatti in alcune Comunità si sono istituiti dei Messaggeri (di strada o di caseggiato) che portano l'invito. Questo eviterebbe l'idea (anche un po' ... antipatica) che le persone vengano invitate ad una "conferenza" della tale persona. Il Responsabile ha anche cura di mantenere i contatti con le persone dopo il CdA stesso, magari raccogliendo con pazienza critiche o suggerimenti che talvolta non vengono espressi nel Gruppo o per opportunità o per timidezza. Il Responsabile deve anche (con sobrietà e discrezione) tenere informato il Parroco di quanto accade nel CdA, del cammino svolto, delle difficoltà incontrate. È bene che l'invito sia rivolto a tutti, con discrezione (senza proselitismo o giudizi... impropri), con premura, ma anche senza insistenza o invadenza. Con persone "nuove" della via o del caseggiato sarebbe bene prima un contatto personale e semplice, e poi si può procedere alla proposta. Come Animatore del CdA egli è colui che "guida" l'incontro. Certamente non deve essere un teologo o un biblista e nemmeno una specie di "professorino" che impartisce la sua lezione. Certamente deve essere una persona che sta facendo un cammino di fede impegnato e disponibile all'approfondimento della Dottrina e della Scrittura. Ma la sua attenzione più grande deve essere rivolta a far "dialogare" i partecipanti a partire dal testo biblico e dalla scheda proposta. Questo comporta che egli è un Servitore della Parola. È bene che ci siano una o due persone che lo aiutino in questo compito, magari anche per delle momentanee supplenze, ed anche perché egli non si senta solo. Dà avvio alla preghiera, introduce il brano offrendo alcune chiavi di lettura e avvia il dialogo.
Deve essere disponibile a parlare di sé e a dare la sua Testimonianza di vita, anche delle sue difficoltà se necessario. Aiuta il gruppo a fare una sintesi finale del cammino fatto in ogni incontro. Deve intervenire in modo misurato e opportuno e richiama con delicatezza tutti a questo stile, non permette che si formulino giudizi sulle persone, particolarmente sugli assenti (il CdA non è un tribunale o un luogo di... chiacchiere). Espone il giudizio della Chiesa sui problemi etici, riservandosi con umiltà di rimandare all'incontro successivo qualora avesse il dubbio di non essere sufficientemente preparato e così invita a fare a tutti i partecipanti. Si tenga presente che il Catechismo della Chiesa Cattolica e il catechismo degli adulti della CEI (con i loro Indici) possono essere ottimi strumenti per conoscere la Dottrina della Chiesa e approfondirla. L'Animatore deve anche essere capace di accogliere le eventuali critiche non come rivolte a sé, ma deve saperle volgere per l'utilità comune, valorizzando ogni intervento nel CdA. Deve anche essere all'occorrenza autorevole, cercando di aiutare il... silenzio di chi interviene troppo spesso o fuori della tematica proposta dall'incontro. Certamente si deve preparare, con la preghiera, con lo studio, con la pazienza tipica dell'evangelizzatore. Sarebbe bene che nella Parrocchia ci fossero periodici incontri degli animatori con il Parroco per scambiarsi l'esperienza fatta e per preparasi agli incontri successivi.
2. La famiglia ospitante.
Non sempre e non per forza è la famiglia dell'Animatore. Non c'è bisogno che si disponga di ampi locali, anzi più l'ambiente è "famigliare" meglio è, in modo che nessuno si senta intimidito. L'esempio deve essere quello della Famiglia di Betania (Lazzaro, Marta e Maria), la Casa dell'amicizia dove Gesù si ritirava volentieri. L'accoglienza deve essere al primo posto. È bene che si preparino già i posti a sedere, possibilmente "in cerchio". Una immagine sacra con una candela ed una Bibbia aperta possono essere buona cosa, ma si eviti di addobbare "altarini" varii. Le usanze "romagnole" di offrire dolci e un bicchiere sono una cosa bella, ma sempre dopo (cioè mai prima o durante) il CdA, in un momento di scambio e amicizia finale, e magari è anche necessario che non si creino "obblighi" per cui tutti devono portare qualcosa. Nei tempi "forti" (Avvento e Quaresima) è poi bene rispettare lo stile del digiuno. È anche bene che sia presente possibilmente tutta la famiglia di quella casa, chiaramente tenuto conto della libertà di ciascuno e delle esigenze di piccoli e anziani.
3. I partecipanti
Sono tutti coloro che sono stati invitati. Senza distinzioni di censo, età, cultura. Coloro che sono più vicini al cammino della Parrocchia aiutino l'Animatore e la Famiglia ospitante. Chi ha un ministero ecclesiale (Catechista, Animatore, Operatore Pastorale, Accolito, Lettore,...) dia la sua testimonianza senza far pesare l'eventuale incarico. Ognuno ascolti il parere altrui e proponga il proprio. Siamo tutti in cammino verso la Verità che è Gesù ed il suo Vangelo. Non si interrompa mai chi parla; questo è bene che sia fatto dall'Animatore.
Se, giustamente e lodevolmente interviene qualche volta il Parroco è comunque bene che i ruoli siano rispettati e cioè che Animatore svolga ugualmente il suo compito, naturalmente valorizzando questa presenza così preziosa ed importante.
4. La lectio divina popolare
Nel documento della Pontificia Commissione Biblica dal titolo: "L'interpretazione della Bibbia nella vita della Chiesa" si legge: “È motivo di gioia vedere la Bibbia presa in mano da gente umile e povera, che può fornire alla sua interpretazione e alla sua attualizzazione una luce più penetrante, dal punto di vista più spirituale ed esistenziale, di quella che viene da una scienza sicura di se stessa”. È ovvio comunque che per una lectio fruttuosa non si può "improvvisare": una buona Bibbia (come la Bibbia di Gerusalemme o la Bibbia TOB) con buone note possono aiutare.
Come si fa la lectio divina? La lettura della Parola di Dio in colloquio con Dio, si attua non solo perché i testi che leggiamo contengono ciò che Dio ci dice, ma anche perché é una lettura che si fa in due: chi legge e lo Spirito del Risorto. Lo Spirito ci fa scoprire nel testo della scrittura la persona viva di Gesù perché lo possiamo incontrare e sperimentare come persona viva nella nostra vita.
- La LETTURA del testo, mette l'accento sul testo, lo comprende e lo studia. Si legge e si rilegge il testo, "lavorandoci", vale a dire sottolineandolo, per far risaltare le cose importanti. Occorre far risaltare bene le azioni descritte, chi è il soggetto, come è l'ambiente, quali i personaggi, chi parla, chi tace... Questo ha il merito di farci scoprire elementi che ad una prima lettura non avevamo visto. Dopo di questo possiamo prolungare la lettura cercando di rammentare brani simili della Bibbia, aiutandoci magari con gli apparati di note della Bibbia.
- La MEDITAZIONE è la riflessione su ciò che il testo ci vuole dire, sui sentimenti e sui valori permanenti del testo. Quali proposte di valore sono implicite od esplicite nei testi?
Questo lo si trova ponendosi delle domande molto semplici sui comportamenti dei personaggi che interagiscono nel brano. Così cominciano ad emergere i sentimenti ed i valori perenni e centrali: la paura, la gioia, la speranza, la fiducia, il dubbio... Emergono anche gli atteggiamenti di Dio e di Gesù verso di noi: la bontà, il perdono, la misericordia... La riflessione sui sentimenti e sui valori diviene fonte di confronto con la situazione ed esperienza personale di chi legge: in quale personaggio mi ritrovo? Con quali sentimenti la mia vita si trova in consonanza? Ciò che Gesù dice, mi fa paura, mi scomoda? Questa è la meditazione. Ma essa non è fine a se stessa, il suo fine é di farmi entrare in dialogo con Gesù, per diventare preghiera.
- La PREGHIERA, è il rivelarsi graduale, dietro il testo, del Signore e della sua presenza. Quelle parole sono un invito personale fatto a me. Deve essere una esperienza che mi coinvolge e mi fa entrare nei sentimenti religiosi che il testo evoca e suscita: lode, ringraziamento, oppure compunzione, richiesta di perdono. Esprimo fede, speranza, amore; domando di poter essere trovato coerente con le azioni espresse da Gesù. La preghiera poi cresce e si estende, diventando preghiera per i propri amici, per la Chiesa, per tutta l'umanità. Ad un certo punto nella preghiera nasce la contemplazione.
- La CONTEMPLAZIONE, è qualcosa di molto semplice. Quando si prega e si ama molto, le parole vengono quasi a mancare e non si pensa più tanto ai singoli elementi del brano letto e a ciò che abbiamo compreso di noi. Si avverte il bisogno di guardare solamente a Gesù, di lasciarci raggiungere dal suo mistero, di riposare in Lui, di amarlo come il più grande amico del mondo, di accogliere il suo amore per noi. È una esperienza meravigliosa, ma che tutti possono fare perché fa parte della vita del battezzato, della vita di fede. È l'intuizione, profonda ed inspiegabile, che al di là delle parole, dei segni, del fatto raccontato, delle cose capitate, dei valori emersi, c'é qualcosa di più grande, c'è un orizzonte immenso.
È l'intuizione del Regno di Dio dentro di me, la certezza di avere toccato Gesù. Allora la lettura divina dei Vangeli, con i suoi quattro momenti, non é più solo scuola di preghiera, ma scuola di vita; perché l'aver sperimentato personalmente Gesù come il Salvatore e il liberatore cambia inevitabilmente la mia vita, i miei giudizi, i miei criteri, e diventa la confessione pratica, vissuta nelle mie scelte quotidiane, che lui è il Signore della mia storia e della storia di tutti gli uomini, che è il Signore del mondo.
DIOCESI DI BRESCIA
"Centri di ascolto della Parola di Dio"
Itinerari di evangelizzazione e catechesi per adulti
nella forma dei “Centri di ascolto della Parola di Dio”
INTRODUZIONE
I tempi “forti” dell’Avvento e della Quaresima sono tempi particolarmente propizi anche per il ricupero di ciò che nella vita cristiana delle persone e delle comunità è prioritario; e tra questo va collocato certamente l’ascolto della Parola di Dio.
Tutti i battezzati hanno bisogno di tale ascolto, per attingere, dalla Parola che salva, luce, speranza e amore; ma, conformemente alla scelta pastorale del nostro Vescovo, la prima preoccupazione di una parrocchia va data alla catechesi o, meglio, alla evangelizzazione degli adulti, in relazione alla quale si sta rinnovando la stessa iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi.
Giustamente in diverse diocesi si sta diffondendo sempre più quella forma di evangelizzazione degli adulti che va sotto il nome di “Centri di ascolto della Parola di Dio nelle case”.
La preferenza a questa forma, che non intende essere l’unica, è legata al fatto che in essa si colmano alcune lacune vistose della nostra pastorale: qui la Parola di Dio è rimessa al centro; la comunità con spirito missionario va ad incontrare gli adulti nel loro ambiente (la casa); qui si fa spazio alla corresponsabilità dei laici anche per l’annuncio del vangelo (catechisti per adulti); si ricupera il gusto di essere Chiesa in una significativa esperienza di fraternità e di comunione; qui, soprattutto, la Parola di Dio non toglie la parola agli uomini ma la sollecita, in un continuo confronto tra la vicenda di Gesù e la nostra vicenda.
Perché questo avvenga è importante che si ricorra ad un metodo adeguato, così che si stabilisca una correlazione tra le esperienze fondanti della storia della salvezza e le esperienze umane nelle quali quella storia intende continuare. Dalla vita alla vita; ma passando attraverso l’ascolto di quella Parola di vita,che era fin da principio ed ora si è fatta visibile (cfr. 1 Gv 1, 1-3).
È questo il metodo scelto dall’Ufficio Catechistico di Verona per una serie di itinerari di catechesi degli adulti, sfociati nei dieci volumi editi dalla Elle Di Ci e curati dal nostro conterraneo Fr. Enzo Biemmi.
L’Ufficio Catechistico di Brescia, per facilitarne l’uso, ha preparato delle “schede” che presentano una sintesi del testo “veronese” da consegnare a tutti i partecipanti e un foglietto con le indicazioni specifiche per il conduttore. Finora sono state preparato le schede dei tre volumi: Abbiamo incontrato Gesù; Parabole di vita; Sulla Via del Crocifisso (di questo sono disponibili per il momento solo le schede per l’Avvento; le altre saranno pronte per l’inizio della Quaresima).
In risposta a diverse richieste, si è ritenuto opportuno di mettere queste schede anche nel sito internet della Diocesi, così che siano disponibili a tutti, facendole precedere da una breve presentazione del metodo “Biemmi”, come viene illustrato nel testo Sulla via del crocifisso, dalla pagina 125 alla pagina 132.
IL METODO CONSIGLIATO
Il metodo proposto in questo itinerario cerca di evitare due rischi, quello legato a uno stile solo espositivo, e quello che si riduce a un’animazione degli adulti senza fornire loro contenuti e significati nuovi. Un metodo prevalentemente espositivo lascia l’adulto passivo e non incide che relativamente sulle sue precomprensioni religiose. Un metodo di tipo “animazione” favorisce al massimo la partecipazione, ma lascia spesso in secondo piano l’offerta di elementi nuovi, che permettano agli adulti di progredire nella loro fede.
L’equilibrio tra contenuto e metodo vuole essere l’originalità di tale proposta. La scelta fatta è la seguente: trasformare i contenuti in processi di apprendimento. Questa scelta permette di integrare costantemente il vissuto delle persone con la parola di Dio.
Per l’attuazione di questa scelta pedagogica, si propongono tre fasi ideali per ogni testo biblico:
1. PER ENTRARE IN ARGOMENTO (fase “proiettiva”)
Questa prima fase consiste in una iniziale reazione istintiva dei partecipanti di fronte al tema affrontato. La finalità di questo primo momento è quella di permettere l’espressione delle precomprensioni e degli interrogativi degli adulti. Dal punto di vista educativo, questa fase è di grande importanza, in quanto favorisce un primo sguardo sul tema da parte del gruppo, permette all’animatore di conoscere i problemi che le persone hanno, favorisce lo scambio delle esperienze dei partecipanti.
Per essere proficua, questa fase deve concludersi con la sintesi e l’interpretazione di quanto è emerso. Il presente sussidio propone quindi delle domande e delle attività semplici che favoriscono questa prima fase. Adattandosi al gruppo, l’animatore potrà modificarle secondo la necessità.
2. PER APPROFONDIRE IL TEMA (fase di approfondimento)
Questo secondo momento mira a favorire un approfondimento del tema, accolto nella sua alterità rispetto alle precomprensioni espresse nella prima fase. Ciò deve essere fatto o da un esperto o dall’animatore che si è preparato in precedenza.
Il commento proposto nella prima parte di questo libro può facilitare l’analisi del tema, perché offre, oltre a un’analisi attenta, una serie di significati e attualizzazioni. Per la sua semplicità e chiarezza, tale commento può anche essere letto dal gruppo, il quale poi reagisce sottolineando i punti più interessanti. L’animatore può allora completare e integrare quanto emerso.
L’approfondimento è tanto più produttivo quanto più vengono tenute in considerazione le precomprensioni emerse nella prima fase e gli interrogativi degli adulti.
3. PER TORNARE ALLA VITA (fase di riappropriazione)
Questa ultima fase mira a favorire negli adulti l’interiorizzazione della Parola ascoltata, la sua riespressione e la sua attualizzazione.
Agli effetti del dinamismo della fede, questo momento è essenziale. Infatti, solo quando l’annuncio risuona nell’ascoltatore, questi diviene un interlocutore attivo.
Le modalità di interiorizzazione, riespressione e attualizzazione sono varie. Il presente sussidio suggerisce ogni volta delle forme semplici di appropriazione. L’animatore saprà intelligentemente adattare al suo gruppo e alla sua comunità.
La preghiera finale è un momento ideale per la riespressione personale.
I disegni che si trovano nella prima parte del libro e che raffigurano ognuno dei sette testi analizzati costituiscono un aiuto didattico semplice per l’approfondimento del tema. Essi possono essere usati in particolare nella prima fase e nella terza. Nella fase iniziale (Per entrare in argomento) il catechista può ad esempio invitare il gruppo a individuare i significati che l’artista ha voluto rappresentare. Tale semplice esercizio può sostituire quello proposto attraverso le domande iniziali, che per alcuni partecipanti possono risultare difficili o troppo personali. Nella fase di riespressione (Per tornare alla vita), il disegno può essere utilizzato come una specie di verifica di quanto si è appreso, e anche integrato o modificato.
UN MODO DIVERSO DI FARE CATECHESI CON GLI ADULTI
La metodologia proposta in questo sussidio non è quella abitualmente applicata nella catechesi degli adulti.
La prassi catechistica attuale con gli adulti risente di una concezione dì catechesi legata alla trasmissione di una serie di conoscenze complete e organiche sulla fede. Senza negare la necessità di un tale lavoro, se la catechesi si riduce a una teologia semplificata, essa resta lontana dal vissuto delle persone e la Parola non risuona in loro “come una apertura ai propri problemi, una risposta alle proprie domande, un allargamento ai propri valori e insieme una soddisfazione alle proprie aspirazioni” (CEI, Il Rinnovamento della catechesi, n. 52).
La scelta fatta nella presente proposta è un tentativo di mettere in atto una delle acquisizioni fondamentali del recente movimento catechistico italiano: il passaggio da una catechesi come trasmissione di conoscenze a una catechesi come correlazione di esperienze, le esperienze fondanti cristiane e le esperienze delle persone che accettano un cammino di fede. Il vissuto della gente è di diritto parte del contenuto della fede, perché il Dio che si è auto-comunicato in Cristo Gesù è il Dio con noi: “Chiunque voglia fare all’uomo d’oggi un discorso efficace su Dio, deve muovere dai problemi umani e tenerli sempre presenti nell’esporre il messaggio. È questa, del resto, esigenza intrinseca per ogni discorso cristiano su Dio. Il Dio della Rivelazione, infatti, è il “Dio con noi”, il Dio che chiama, che salva e dà senso alla nostra vita; e la sua parola è destinata a irrompere nella storia, per rivelare a ogni uomo la sua vera vocazione e dargli modo di realizzarla” (CEI, Il Rinnovamento della catechesi, n. 77).
CONSIGLI PER L'ANIMATORE
La prima cosa di cui è bene essere coscienti è che in ogni atto di catechesi vengono svolte e vanno mantenute in equilibrio due funzioni: quella di animazione e quella catechistica.
La funzione di animazione consiste in quell’insieme di competenze che mirano a favorire una comunicazione rispettosa tra i membri del gruppo: chiarire gli obiettivi e il tema, aiutare tutti a esprimersi, frenare i chiacchieroni, mantenere nell’argomento, collegare quello che viene espresso dai singoli partecipanti, riassumere, risolvere eventuali conflitti…
La funzione catechistica consiste nella capacità di far accedere correttamente alle fonti della fede (bibliche, liturgiche, della tradizione...) e di collegare i contenuti di fede con il vissuto delle persone.
DIOCESI DI MILANO
L’Arcivescovo, mons. Mario Delpini, così si è espresso durante la Messa Crismale dello scorso 29 marzo 2018:
“Credo che ogni comunità e ogni cristiano adulto debbano essere invitato a una verifica sui percorsi che sono offerti e su quelli che hanno praticato per valutarne l’effettiva utilità. Forse è venuto il momento di ripensare e rilanciare i gruppi di ascolto della Parola, mettendo in evidenza che la parola è sempre vocazione, che l’ascolto è sempre invito a conversione e al discepolato, che la parola è come un seme che nel buon terreno produce frutti buoni.”
E nella Lettera pastorale scrive:
“Noi possiamo accedere alla parola di Gesù attraverso la testimonianza apostolica: non si può essere ingenui o affidarsi all’emotività nell’accostarsi a quel libro straordinario che è la Sacra Scrittura. È quindi necessario che l’insegnamento catechistico, la predicazione ordinaria, il riferimento alla Scrittura negli incontri di preghiera, nei percorsi di iniziazione cristiana, nei gruppi di ascolto, negli appuntamenti della Scuola della Parola sia guidata con un metodo e condotta con sapienza. Ma la guida del metodo deve essere adeguata agli interlocutori e soprattutto deve aiutare a riconoscere nella Sacra Scrittura quell’offerta di luce, di forza, di gioia, che viene dalla potenza della Parola di Dio. Invito ogni comunità a verificare quali percorsi sono proposti per familiarizzarsi con la Scrittura alle diverse fasce di età e nelle situazioni concrete in cui vivono gli adulti. L’obiettivo delle diverse proposte deve essere quello di propiziare la familiarità con la Scrittura per ascoltarvi la Parola di Dio e assimilare i sentimenti e la mentalità di Cristo.
La tradizione dei Gruppi di Ascolto della Parola è occasione propizia per familiarizzarsi con la Sacra Scrittura ed assimilare il pensiero di Cristo.
Qui di seguito ci sono tutte le proposte di formazione. Esse sono così distribuite:
· La giornata di approfondimento, di natura spirituale, il 14 ottobre 2018.· La scuola di formazione per i nuovi animatori, tra ottobre e novembre.· La domenica della Parola di Dio.· La giornata di formazione, di natura culturale e pastorale, il 17 febbraio 2019.· L’accompagnamento degli animatori dei Gruppi di ascolto della Parola sul territorio.· La giornata di presentazione dell’itinerario 2018/2019, il 15 giugno 2019.
DIOCESI DI VENEZIA
Gruppi di ascolto
Il Patriarca di Venezia, il Card. Marco Cè (1978-2002), nella lettera pastorale Il granello di senapa (1990) scriveva: «Accanto alla catechesi parrocchiale, incoraggio l’esperienza della catechesi per adulti nelle case: una catechesi integra nelle verità che propone, semplice nel modo e nel linguaggio familiare [...]. La catechesi nelle case valorizza i laici nei loro doni battesimali, assume il linguaggio umile della vita concreta, crea l’ambiente adatto alla preghiera semplice, riscopre il parlare nella fede dei problemi di tutti i giorni e dell’oggi. È un modo vero di inculturazione, di radicamento e di insediamento della fede nella vita [...]. La strada maestra in questi casi, specialmente quando sono presenti persone “lontane” – chi riuscirà a trovare una espressione che a!ermi con chiarezza che noi possiamo allontanarci da Dio, ma Dio non si allontana mai da noi? – è la lettura della Parola di Dio in un clima semplice di ascolto di fede. (...) Bibbia e catechismo degli adulti dovrebbero essere i libri più sfogliati in una famiglia cristiana che voglia farsi carico della fede dei fratelli»[1].
L’occasione provvidenziale per realizzare questo desiderio si presentò durante la preparazione del bimillenario della nascita di Gesù, il Giubileo del 2000. Dopo un attento ascolto delle realtà ecclesiali, il Patriarca pubblicò nel 1997 una lettera pastorale La comunità cristiana in missione nell’anno di grazia del Signore, nella quale indicava i criteri teologici- pastorali da seguire per costituire “una rete di operai del vangelo (Mt 20,1-7) che siano i protagonisti della missione evangelizzatrice e che poi rimangano come intelaiatura missionaria permanente”.
Parola.
Come avveniva per i primi cristiani che si incontravano nelle case (Domus ecclesiae) anche per i partecipanti del Gruppo di ascolto la casa, generalmente, è il luogo dove avviene il loro incontro. La dimora ha un alto valore simbolico: è il luogo fisico dove si abita e dove si rigenerano gli a!etti e i sentimenti. La casa dice famiglia, accoglienza, primato delle relazioni fondate sull’amore. Nell’aprire le porte della propria casa al Signore e ai fratelli accade l’imprevedibile: ci si accorge che è Gesù che ci fa sentire a casa, perché, scrive in un poema del 1965 K. Woityla, “Dove Tu non sei vi è solo gente senza casa.”
Sembrano essere quattro le dimensioni del Gda su cui si dovrà concentrare l’impegno della Diocesi nei prossimi anni in modo che superino il rischio della chiusura nel piccolo gruppo o di vivere un’esperienza che non coinvolga tutta la vita o tutta la comunità.
1) Che il Gda evolva nella coscienza di essere una piccola comunità di evangelizzazione.
“Dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20), dice Gesù. Queste le parole del Patriarca F. Moraglia: “Il metodo di Gesù evangelizzatore è costituire una comunità e vivere in essa, educando personalmente i discepoli e coinvolgendoli progressivamente in un’esperienza di fede viva, portandoli progressivamente verso un discepolato pieno e indicando loro una missione fondata sulla comunione con Lui, il Signore, e poi per essere “mandati”.[2]
2) Che il Gda sia una piccola comunità capace di una lettura-ascolto della Parola di Dio che raggiunga l’esperienza dei partecipanti e che li porti a provare quel senso di trafittura sperimentato dagli ascoltatori di Pietro il giorno di Pentecoste: “All’udire queste cose si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: “Che cosa dobbiamo fare fratelli?”» (At 2,6-38).
Una lettura-ascolto della Parola di Dio che incrocia l’esperienza umana lascia tracce profonde nella vita di una persona e di una comunità, perché frutto di incontro fra l’uomo che cerca Gesù e Gesù Cristo che cerca l’uomo, che sempre, cambia la vita ed imprime ad essa una direzione nuova. Si veda Zaccheo (Lc 19,1-9), la Samaritana (GV 4,1-42), Paolo e altri. Scrive a questo proposito il Patriarca F. Moraglia: “Ogni annuncio evangelico deve comprendere questo cammino in cui il momento “umano” e il momento “cristiano” sono realmente uniti tra loro. Non confusi e non separati ma uniti, sia pure nella distinzione. Questa unità nella distinzione, senza separazione, è essenziale nell’educazione alla fede”.[3]
Nelle quattro scansioni del metodo che abbiamo imparato (osservare, interpretare, applicare, pregare) “l’applicazione” è il momento che ha più necessità di essere capito meglio e approfondito, perché si eviti il rischio di una lettura moralistica della Parola di Dio. Preziosi sono i suggerimenti di Papa Francesco contenuti nell’Evangelii gaudium a proposito dell’omelia e della preparazione della predicazione (nn. 135-159).
3) Un terzo elemento: la fraternità.
Il Gda deve poter mostrare la verità di quanto ha detto Gesù durante l’ultima cena ai suoi apostoli: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35).
4) Quarto elemento. Una piccola comunità “in uscita “ [missionarietà]
Scriveva il Patriarca Marco agli animatori in una lettera del 2001: «Vi ripeto quanto vi ho già scritto: non chiudetevi nel vostro gruppo. Abbiate la passione di comunicare ad altri la possibilità di fare l’esperienza dell’incontro col Risorto mediante il contato col vangelo.» [4] Il test che questo incontro è avvenuto lo spiega papa Francesco in Evangelii gaudium (nn. 120- 121).
5) Quinto elemento. Verso una guida più comunitaria del Gda
Il Gda deve puntare ad una guida comunitaria formata dall’animatore, dalla famiglia ospitante, dal coordinatore di caseggiato e dal col parroco. Inoltre dovrà valorizzare al massimo i doni e i carismi dei partecipanti.
In modo particolare l’Animatore del gruppo di ascolto dovrà curare, oltre all’animazione del Gda in senso stretto, anche la coesione del gruppo secondo uno stile tipicamente evangelico. L’apostolo Paolo può diventare un esempio di come si ama e si cura la comunità.
[1] M. Cè, Il granello si senapa, 1990, pp. 39-43.
[2] F. Moraglia, Una fede amica dell’uomo, Cantagalli 2013, p. 66.
[3] Ibid., p. 67.
[4] G. Barbieri – V. Perini – B. Pizziol, La casa della Parola. L’esperienza dei Gruppi di ascolto nella diocesi Venezia. Con le lettere agli animatori di Marco Cé 1998-2001, p.115.