monaci di Tibhirine - parrocchia stagno lombardo

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MONACI DI TIBHIRINE
MARTIRI 1996 - SANTI 2018

Corriere della Sera (31 maggio 1996)
 
ALGERIA
 
I 7 frati uccisi: trovati i corpi


ALGERI . Sono stati ritrovati i corpi dei sette monaci francesi rapiti e assassinati dopo due mesi di detenzione dai terroristi islamici in Algeria. I cadaveri sono stati rinvenuti a pochi chilometri dalla citta' di Medea, a sudovest di Algeri.
Il Gruppo islamico armato (il Gia), che aveva sequestrato i sette trappisti nel loro monastero a Tibe' he' rine, sempre nei pressi di Medea, il 27 marzo, aveva annunciato di averli "giustiziati" in risposta al rifiuto del governo francese a uno scambio di persone. I rapitori chiedevano la liberazione di alcuni integralisti islamici, incarcerati in Francia con l' accusa di terrorismo.
Il settimanale francese "Paris Match" ha scritto nel suo ultimo numero che una videocassetta delle esecuzioni sarebbe stata fatta pervenire dai terroristi al governo di Parigi. La notizia non ha tuttavia avuto alcuna conferma. Autorita' della Chiesa cattolica hanno detto di non aver ancora potuto vedere i corpi delle sette vittime, che avevano un' eta' compresa tra i 50 e gli 80 anni.
Circa 50.000 persone, tra cui oltre 100 stranieri, sono stati uccisi in Algeria dal gennaio 1992, da quando cioe' i militari sostennero un golpe bianco e determinarono la cancellazione delle elezioni che il Fronte islamico di salvezza si apprestava a vincere.
"L' Algeria e' una terra di guerra e di Islam, nella quale i miscredenti devono essere uccisi in nome della jihad": e' questo il messaggio politico lanciato da Djamel Zitouni, nel testo "politico" da lui scritto. Si tratta di un libro di circa sessanta pagine, di cui l' Afpa ha ottenuto una copia: "l' emiro", divenuto capo del Gia a trentanni, si rivela come un "teorico" radicalissimo del movimento armato.
FAMIGLIA CRISTIANA 22/10/2010

Arriva in Italia "Uomini di Dio",
il film sui monaci trappisti francesi
uccisi in Algeria nel 1996.



In Francia, sono un caso cinematografico. E ora rischiano di diventarlo anche in Italia. Dopo aver conquistato il Festival di Cannes con la loro spiritualità intrisa di calore umano, sette monaci trappisti sono in testa da un mese al box office francese (con oltre due milioni e mezzo di spettatori) sbaragliando perfino la concorrenza della diva Angelina Jolie. O meglio, a conquistare prima la Croisette e poi le vette del botteghino sono state le loro storie, i timori, le parole, il modo assolutamente naturale eppure sublime con cui hanno dato testimonianza di fede.
   Perché, purtroppo, quei monaci francesi non ci sono più: li hanno trovati decapitati nel monastero di Tibhirine, sulle montagne algerine dell’Atlante. Massacrati, nel maggio 1996, non si sa bene da chi. Forse dal Gia, il gruppo islamico armato che allora alimentava la guerra civile. Forse da un elicottero militare algerino, che avrebbe sparato scambiando i frati rapiti per guerriglieri (di conseguenza, decapitazione e sparizione dei corpi sarebbero state solo un macabro depistaggio).
   Scelta vincente del regista Xavier Beauvois quella di non descrivere il martirio bensì di raccontare le settimane precedenti, quelle in cui i sette monaci decidono di non abbandonare le attività che da anni svolgono in aiuto della popolazione musulmana, ideale ponte tra religioni, malgrado l’incalzare delle violenze e delle minacce. Uomini di Dio (è il titolo scelto dalla Lucky Red per la distribuzione italiana anche se quello originale, Des Hommes et des Dieux, è assai più profondo e sfaccettato) esce in questi giorni nei cinema italiani dopo aver vinto il Grand Prix a Cannes. Ma non è un film sul fanatismo religioso, piuttosto il racconto di una scelta sofferta, difficile, motivata da ciascuno con un personale percorso di fede.
   «Sinceramente, non m’interessa l’inchiesta tuttora aperta anche se, sulla base delle testimonianze e della documentazione che ho avuto modo di raccogliere per la preparazione del film, propendo per l’errore dei soldati algerini », spiega Xavier Beauvois, 43 anni, fino a oggi più attore che regista.
«Il cuore del film è la forza morale di quei monaci, alcuni anziani e malati, che si trovarono di fronte al dilemma se partire o restare. In una situazione di tensione, tra esercito e fondamentalisti ai ferri corti, tra massacri e minacce, loro rimasero. Per testimoniare la parola di Dio, che in quel momento si fece sì per loro carne e sangue. In una società come quella di oggi, in cui nessuno vuol più rinunciare a nulla, l’idea del sacrificio è qualcosa che disturba».
   Ecco, la forza del messaggio è proprio in questo voler narrare la vita e non la morte. Per due ore lo spettatore “vive” dentro il piccolo monastero sperduto tra i monti dell’Algeria assieme ai frati benedettini che pregano e lavorano, fanno il miele e curano le ferite di chi bussa alla loro porta. Anche se si tratta di terroristi, perché Dio non fa distinzioni. Una quotidiana scelta di pace e tolleranza piuttosto che la partigianeria. Le umili incombenze, le titubanze, le paure di monaci che senza essere samurai del Signore restano però saldi nelle loro convinzioni e nella fede.
   «Non c’è sesso, non c’è violenza esibita. I cristiani non possono che gioire. E i non credenti, gli agnostici parleranno del senso dato alla vita da questi uomini in saio», commenta Libération, giornale laico per eccellenza del panorama editoriale francese. E aggiunge: «È come se questa pellicola permettesse a ognuno di trovare una risposta ai propri dubbi e alle proprie domande. Proprio come quando si ascolta il canto gregoriano per ritrovare un po’ della propria spiritualità».
   La decisione di non mostrare la morte dei frati è venuta in modo naturale. «Per rispetto ai parenti delle vittime. Le loro vite fatte di dialogo e compassione sono state la migliore risposta a qualsiasi violenza», spiega Beauvois. «Difficile trovare persone capaci di amare così tanto. Viviamo in una società fondata sulla velocità, ma credo che la gente sia abbastanza intelligente da fare uno sforzo per capire».
   Beauvois non è credente praticante: «A volte la Chiesa mi snerva», ammette. «Il priore Christian snervava a sua volta la gerarchia, che lo reputava precipitoso perché si accostava all’islam. Aveva ragione lui. Quei monaci erano liberi, uomini uguali tra loro e rispetto ai loro vicini. Oggi, in Francia, siamo sempre meno liberi, meno uguali, meno fratelli».



Il Testamento spirituale di frère Christian de Chergé,
priore dell’Abbazia di Tibhirine,
ucciso con 6 fratelli monaci trappisti, da fondamentalisti islamici in Algeria,
probabilmente il 21 maggio 1996




Quando si profila un AD-DIO
Se mi capitasse un giorno - e potrebbe essere oggi
di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora
tutti gli stranieri che vivono in Algeria,
vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia
si ricordassero che la mia vita era "donata" a Dio e a questo paese.
Che essi accettassero che l’unico Signore di ogni vita
non potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale.
Che pregassero per me:
come essere trovato degno di una tale offerta?
Che sapessero associare questa morte a tante altre
ugualmente violente,
lasciate nell’indifferenza dell’anonimato.
La mia vita non ha valore più di un’altra.
Non ne ha neanche meno.
In ogni caso non ha l’innocenza dell’infanzia.
Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male
che sembra, ahimè prevalere nel mondo,
e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca.
Venuto il momento vorrei poter avere quell’attimo di lucidità
che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio
e quello dei miei fratelli in umanità,
e nello stesso tempo di perdonare con tutto il cuore
chi mi avesse colpito.
Non potrei augurarmi una tale morte.
Mi sembra importante dichiararlo.
Non vedo, infatti, come potrei rallegrarmi
del fatto che questo popolo che io amo
venisse indistintamente accusato del mio assassinio.
Sarebbe pagare a un prezzo troppo alto
ciò che verrebbe chiamata, forse, la "grazia del martirio",
doverla a un Algerino, chiunque sia,
soprattutto se egli dice di agire in fedeltà
a ciò che crede essere l’Islam.
So di quale disprezzo hanno potuto essere circondati gli Algerini,
globalmente presi,
e conosco anche quali caricature dell’Islam
incoraggia un certo islamismo.
E’ troppo facile mettersi la coscienza a posto
identificando questa via religiosa
con gli integrismi dei suoi estremismi.
L’Algeria e l’Islam, per me, sono un’altra cosa,
sono un corpo e un anima.
L’ho proclamato abbastanza, mi sembra,
in base a quanto ho visto e appreso per esperienza,
ritrovando così spesso quel filo conduttore del Vangelo
appreso sulle ginocchia di mia madre, la mia primissima Chiesa
proprio in Algeria, e già allora, nel rispetto dei credenti musulmani.
la mia morte, evidentemente, sembrerà dare ragione
a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo, o da idealista:
"Dica adesso, quello che ne pensa!".
Ma queste persone debbono sapere che sarà finalmente liberata
la mia curiosità più lancinante.
Ecco potrò, se a Dio piace,
immergere il mio sguardo in quello del Padre
per contemplare con lui i Suoi figli dell’Islam
così come li vede Lui, tutti illuminati dalla gloria del Cristo,
frutto della Sua Passione, investiti del dono dello Spirito,
la cui gioia segreta sarà sempre di stabilire la comunione, giocando con le differenze.
Di questa vita perduta, totalmente mia e totalmente loro,
io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta tutta intera
per questa gioia, attraverso e nonostante tutto.
In questo "grazie" in cui tutto è detto, ormai della mia vita,
includo certamente voi, amici di ieri e di oggi,
e voi, amici di qui,
insieme a mio padre e a mia madre,
alle mie sorelle e ai miei fratelli, e a loro,
centuplo regalato come promesso!
E anche te, amico dell’ultimo minuto
che non avrai saputo quel che facevi.
Sì, anche per te voglio questo "grazie", e questo "ad-Dio" nel cui volto ti contemplo.
E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati,
in Paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due.
Amen! Inch’Allah.

Algeri, 1 dicembre 1993
Tibhrine, 1 gennaio 1994

VATICAN INSIDER -  14/09/2018 (GIORGIO BERNARDELLI)

A Orano l’8 dicembre la beatificazione dei martiri dell’Algeria

Si terrà l’8 dicembre in Algeria la beatificazione dei martiri uccisi tra il 1994 e il 1996 nell’ondata di violenza islamista che sconvolse il Paese. L’annuncio ufficiale lo hanno dato i quattro vescovi locali con una nota. Il rito avverrà nella chiesa di Santa Cruz sull’Aidour, la collina che domina la città di Orano di cui era vescovo monsignor Pierre Claverie, dilaniato da una bomba il 1° agosto 1996 insieme al suo autista musulmano Mohammed mentre rientrava nella sua residenza. A presiederlo arriverà da Roma come inviato personale del Papa il cardinale Angelo Becciu, prefetto della Congregazione per le Cause dei santi.
Tramonta dunque l’ipotesi ventilata nei mesi scorsi di una presenza di Papa Francesco stesso in Algeria per questo momento altamente simbolico non solo per la Chiesa locale. Lo stesso ambasciatore algerino in Italia si era sbilanciato in questo senso. A pesare probabilmente è stato anche il clima delicatissimo del Paese guidato ormai da vent’anni da Abdelaziz Bouteflika - uomo vicino all’esercito, oggi anziano e malato - ma che nel 2019 andrà a nuove elezioni presidenziali.
Annunciando per la festa dell’Immacolata la beatificazione, i vescovi dell’Algeria citano una delle frasi più famose del testamento spirituale di Christian de Chergé, il priore di Tibhirine, ucciso insieme ad altri sei monaci della comunità di Notre Dame de l’Atlas nella vicenda raccontata anche nel film “Uomini di Dio”: «Vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia - scriveva il priore - si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo Paese». E proprio l’idea del dono totalmente gratuito è probabilmente la chiave per guardare a questa beatificazione, molto importante per la piccolissima comunità cristiana dell'Algeria.
Insieme ai diciannove martiri cristiani in quegli anni segnati dalla violenza sono morti anche migliaia di algerini. E tuttora la presenza della Chiesa in quel contesto è all'insegna del piccolo seme che fa crescere l’amicizia tra cristiani e musulmani, nella condivisione delle esperienze più quotidiane della vita.
Sono in tutto diciannove i nuovi martiri che verranno beatificati l’8 dicembre: insieme al vescovo Pierre Claverie, l’elenco comprende il frate Marista Henri Vergès e suor Paul- Hélène Saint-Raymond delle Piccole Sorelle dell’Assunzione (uccisi l’8 maggio 1994), le Agostiniane Missionarie suor Esther Paniagua Alonso e suor Caridad Alvarez Martin (23 ottobre 1994), i Padri Bianchi Jean Chevillard, Charles Deckers, Christian Chessel e Alain Dieulangard (27 dicembre 1994), le suore di Nostra Signora degli Apostoli suor Angèle-Marie Littlejohn e suor Bibiane Leclercq (3 settembre 1995), la Piccola Sorella del Sacro Cuore suor Odette Prévost (10 novembre 1995) e infine i sette monaci trappisti di Tibhirine dom Christian de Chergé, fratel Luc Dochier, padre Christophe Lebreton, fratel Michel Fleury, padre Bruno Lemarchand, padre Célestin Ringeard e fratel Paul Favre-Miville rapiti nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1996 e fatti ritrovare cadavere due mesi dopo.
«Ci sono donati come intercessori e come modelli di vita cristiana, di amicizia e di fraternità, d'incontro e di dialogo - scrivono ancora i vescovi algerini nel loro comunicato -. Che il loro esempio ci aiuti nella vita di ogni giorno. Dall’Algeria la loro beatificazione sia per la Chiesa e per il mondo una spinta e un appello a costruire insieme un mondo di pace e di fraternità».
parrocchia stagno lombardo 2020
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